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AGGHIE FURTUNE E MIENETE A MARE PDF Stampa E-mail
lunedì 09 maggio 2005
Mentre seduto su un comodo landàu, condotto da un villico alle mie dipendenze, controllavo il prospero fiorire degli alberi di ciliegio coltivati in uno dei modesti appezzamenti agricoli per cui mi pregio corrispondere all’Erario la giusta imposta sulla proprietà, vidi accorrere, leggermente trafelato, l’impettito Archibald che, dopo essersi umettato le labbra riarse a causa della maratona a lui inusuale, tergendosi nel contempo la fronte dal sudore con un candido fazzoletto di lino veneziano mi annunciò la notizia che poneva fine a giorni e giorni di macerante apprensione.
Sul monitor a 17” a cristalli liquidi del mio personal computer corredato di active directory, posta elettronica, firewall, proxy, sistemi di backup robotizzato adic con veritas backupexec, sistemi antivirus con file system e filtering per exchange, antispam e smtp gateway e collegato al network cablato ed installato dal prodigioso Lucajazz presso la mia umile dimora, su cui fino a qualche minuto prima campeggiava ostile l’avviso “Error 404 – Page non found” che testimoniava implacabile la disavventura ignea occorsa al server che ospitava il sito di www.tarantonostra.com, era riapparsa la familiare icona di una sapida cozza nera campeggiante sui patri colori rosso-blù ed il fedele maggiordomo, novello emerodromo fedele alla consegna e ligio al dovere quale fu Fidippide, mi aveva raggiunto per comunicarmi la lieta novella: Tarantonostra era di nuovo on line!

Lieto per la notizia che in verità non avevo mai disperato di ricevere, ad alta voce espressi la fiducia ben riposta nella buona sorte e nei tecnici che avevano assunto l’onore e l’onere di far rinascere il sito quale Araba Fenice esclamando: “Agghie furtune e miènete a mare, ca pure u mare te ne caccia!” (Abbi fortuna e tuffati in mare, ed anche il mare ti scaccerà!).
 
Vuoi per la lunghezza della corsa e per  il torrido clima che lo avevano ottenebrato, vuoi per la sua oramai acclarata idiosincrasia verso il dialetto tarantino, il podistico Archie evidenziò chiaramente i sintomi della incomprensione che ben conoscevo. Lo invitai così a salire sulla carrozza incitando il cocchiere ad imboccare la via del ritorno a spron battuto. Giunti che fummo alla avita dimora, dopo aver rapidamente controllato che la notizia recatami rispondesse ad effettiva verità, caracollai verso la biblioteca insieme all’accaldato famiglio, a cui mi riproposi di dare esauriente esplicazione del mio dire. Dopo un breve cercare, rintracciai finalmente il saggio di antroposofia religiosa “Perché non posso non dirmi tarantino” del guru indiano Swami Jamshed Bashastùthangha (Calcutta, 1679 – Inavvertitamente calpestato durante una abbronzatura integrale dai partecipanti al torneo di beach soccer “cinque più portiere volante” presso la spiaggia libera di “Lido Palmintiello” in Marina di Torricella, 1745), noto santone bengalese che, a torto accusato di atti di rattusaggine nei confronti di alcune sue graziose adepte a cui chiese reiteratamente di mostrare la yoni, al fine di raggiungere il satori grazie ai loro effluvi miscelati con gli aromi emanati dalla combustione dell’incenso rituale, abbandonò incompreso il suo ashram sulla riva del fiume Hooghly per fondarne un altro alla sorgente del Cervaro, nei pressi del convento dei frati Battendieri. Nella sua opera, originariamente scritta in pali sui fogli ricavati dai papiri che rigogliosi crescevano lungo il fiumiciattolo e successivamente tradotta e diffusa dai suoi discepoli più fedeli, il sant’uomo invita spesso i fedeli ad affidarsi alla Divina Provvidenza che tutto sa e tutto può.
 
Ben conscio della difficoltà, per il volgo povero ed ignorante, di raggiungere le sue elevate vette spirituali, Bashastùthangha, come altri Maestri spirituali prima e dopo di lui, parlò ai suoi seguaci col loro linguaggio semplice e chiaro, non disdegnando di istruirli con parabole ispirate ad episodi della loro vita quotidiana. In particolare, l’origine asiatica dello Swami gli aveva insegnato a temere la distruttività che poteva essere scatenata dalle onde del mare trasformate in tsunami o maremoti, e questa sua esperienza si completò con la memoria storica di un popolo che al mare offriva sudore e dolore, traendone spesso sussistenza, sempre lavoro, e quasi mai diletto.
 
Per un popolo che nei flutti salmastri riconosceva un arcigno padrone a cui sottrarre, con astuzia e fatica, una parte del suo immenso patrimonio, un tuffo in mare non rappresentava un acrobatico divertimento di atletici bagnanti ma piuttosto un evento tragico che, a causa della inesistenza di salvagente e giubbotti galleggianti dovuta alle scarse risorse economiche ed all’insufficiente progresso tecnico, quasi sempre preludeva alla accoglienza dello sfortunato nell’abissale regno del dio Nettuno. Considerando ciò, nel dire del popolo, l’augurare a qualcuno di tuffarsi in mare non costituiva certo un invito ad un dilettevole svago ma bensì una minacciosa proposta e come tale veniva sovente impiegata in motti, facezie e contumelie.
 
Per codesta sua caratteristica prepicua questo frequente invito fu la fonte ispiratrice del noto “sermone della Salina grande” in cui il Bashastùthangha, dopo aver invitato ripetutamente il folto uditorio ad avere fede nella Divina Benevolenza, concluse la sua predica con l’invito in esame, a significare che, a chi gode della protezione celeste, nulla può nuocere, tanto che se anche questi si gettasse di sua sponte tra i marosi, verrebbe dagli stessi riportato a riva, come fece la biblica balena con il profeta Giona.La parabola fu particolarmente efficace, tanto da convertire ipso facto molti presenti che vollero farsi battezzare nelle acque del fiumiciattolo nei cui pressi sorgeva la dimora del sant’uomo che accoglieva i suoi discepoli e da entrare, nella sua parte conclusiva, nel novero della saggezza popolare, che invita, fiduciosa o sarcastica a fidare nella propria buona stella.

La si userà così per sinceramente augurare un positivo risultato a chi si accinga, appassionato e convinto, ad una iniziativa non priva di rischi ed incognite quale l’acquisto del pacchetto di maggioranza della società del Taranto Calcio o la candidatura nelle file del centrosinistra alla carica di sindaco della città così come potrà essere pronunciata, con tono salace, a salutare ambizioni e desiderata quali il turismo come prima fonte di reddito della provincia ionica o l’eliminazione delle principali fonti inquinanti antropiche o il disinquinamento del tratto di mare di “Lido Azzurro” espresse da qualcuno che, stante capacità e preparazione, si ritiene debba più affidarsi alla fortuna che alla perizia per ottenere un successo.

Ultimo aggiornamento ( mercoledì 18 maggio 2005 )
 
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