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Come sarebbe rimasto PDF Stampa E-mail
L'ha scritt Pepp' Nesta   
lunedì 24 settembre 2007

Intro
Molto vicino a casa mia era solo campagna, una campagna che poi fu’ devastata dalle costruzioni, ma soprattutto dall’avvento dell’industria che fumante sembrava quasi cacciar via tutta la gente che come pionieri si erano avventurati nell’andare a vivere in una zona molto periferica del quartiere della citta’.
Sentivo gia’ da allora i vari commenti avversi, poiche’ gia’ la puzza invadeva quotidianamente il quartiere con le sue fumate maleodoranti e ricche di polverino minerale,... raccontavano che quando qualcuno aveva problemi di respirazione, il medico condotto suggeriva di portare il malcapitato a respirare l’aria salubre sul Rione Tamburi.

Proprio cosi’, ... chi non aveva i mezzi per villeggiare in mete “lontane” come Martina, si accontentava di raggiungere il Rione piu’ alto della citta’, in quanto la giusta ventilazione con cui mitigava l’aria ricca di iodio marino, donava beneficio e ristabiliva la salute.

Enormi distese di campagne coltivate a grano, vigneti, uliveti secolari, ... se avessi potuto volarci sopra avrei visto una tavola dorata con tanti grossi cerchi verdi, ...

Vorrei che qualcuno leggesse quel che scrivo e chiudesse gli occhi per immaginare quello che realmente c’era prima ...

Come sarebbe rimasto

Sto percorrendo in bicicletta la vecchia SS 106,  proprio quella che chiamano: “la strada per Reggio Calabria” ... tutto parte gia’ dal cavalcavia ... alla sinistra allungo il mio sguardo, sullo sfondo il mare, ma prima ci sono delle pinete immense che nascondono spiagge spettacolari, paragonabili alle famose spiagge californiane ... Pino Solitario, Lido Venere ....  molto,  molto prima di Lido Azzurro.

Appena sotto la strada filari di terre coltivate ad ortaggi, ce’ di tutto, guardo bene, riesco a distinguere le piante di melenzane, zucchine, peperoni, e quei boccioni rossi sono pomodori ... ciuffi di finocchi e quelle palle verdi ... sono pagnottelle, ... mentre piu’ avanti ci sono meloni ... di un bel verde scuro, appoggiato sulla terra di un marrone rossastro ...  e farfalle ... tante, tantissime colorate e vivaci sembrano animare vorticosamente una spettacolare “natura morta” ... sono gia’ arrivato nella zona Cagioni.

Alla mia destra invece ci sono alberi in fiore, mi soffermo a guardare bene, sono aranci, enormi aranceti si susseguono separati appena da minuscole stradine, forse dividono le varie proprieta’ ...

La strada asfaltata si interseca con una strada sterrata, ma sembra comunque una strada importante, la prendo e continuo a pedalare ... e’ in salita ma non fa niente, l’aria fresca mi da’ una spinta  ...

Sui due lati della strada vigneti a tendone, filari sostenuti da pali in legno distribuiti in perfetta geometria, percorrendo mi sembra quasi di assistere ad un film di quelli antichi, dove le immagini venivano distribuite in malomodo nei fotogrammi ... solo che e’ un film a colori ... e che colori.

Arrivo ad incrociare una strada asfaltata piu’ larga,  ci sono tre cartelli di indicazione:  Massafra, Bari dirigono nello stesso verso cioe’ alla mia sinistra, mentre l’indicazione Taranto mi indica a destra ... preferisco tornare verso Taranto.

Lungo la strada mi sfiorano ancora aranceti, mentre piu’ all’interno vedo maestosi ma allo stesso tempo inquietanti alberi di ulivo, improvvisamente incrocio un’altra strada sterrata alla mia sinistra, svolto e via.

Poche centinaia di metri e mi appare dinnanzi un mare giallo ondeggiante, i puntini rossi dei papaveri ondeggiano con il resto del mare ... ne sento il profumo, allora decido improvvisamente, ... dopotuto e’ tanto che non lo faccio, vale proprio la pena rischiare ... butto la bicicletta nel fosso che delimita la strada dal campo ... un tuffo e via...

Comincio con un paio di capriole, poi riprendo fiato e via ancora di corsa, zigzagando tra le spighe, ... mi fermo ad annusare ... mi lascio estasiare dall’ inebriante effluvio, me ne riempio i polmoni, come se temessi di dimenticare in seguito quel profumo di terra e fiori. 

Fortunatamente avevo gia’ deciso di di tornare sui miei passi, improvvisamente un urlo lontano .. il proprietario del campo ... temo l’ira del villico che a giusta ragione mi possa tirare una schioppettata a sale e quindi corro a riprendere la mia bici ... e via, pedalando a piu’ non posso.

Un’altra strada mi si presenta davanti, stavolta i cartelli indicano Statte a sinistra e Taranto a destra, ... ma posso anche proseguire diritto sulla strada sterrata ... e lo faccio.

Il sole e’ ancora alto ma non lo soffro, ... anzi.

Sulla strada improvvisamente un cane lupo e’ pronto come ad avvisarmi di rallentare, ... no, non vuole aggredirmi, il suo abbaiare mi vuol mettere in guardia che ce’ un gregge di pecore e che devo solo stare attento a non investirle.

Sembrano intelligenti,  sono loro a scansarmi,  piu’ in la’, seduto su un grosso sasso sotto l’ombra di un albero, il pastore che alla mia vista scatta in piedi e mi osserva incuriosito ... si riaggiusta il cappello di paglia sulla testa ... e non puo’ assolutamente farne a meno di rispondere al mio fragoroso saluto, ... un bel buongiorno seguito da un sorriso diventa irresistibile, ... impossibile non rispondere. 

Intanto proseguo, per un attimo penso che a chiunque quello che vedo puo’ sembrare monotono, insignificante, ma cancello immediatamente questo pensiero, niente di piu’ bello puoi regalarti semplicemente osservando quello che ti circonda.

Ancora vigneti, stavolta sono vigne basse o a spalliera, non so bene come si dice, ... forse vigna a cippone, ... grappoloni di uva nera ancora acerba pendono arricchendo miseri tronchi appena fogliati, ... da un lato ci sono pale di fichi d’india, i frutti sono ancora acerbi, lo posso distinguere dal colore,  ... subito dopo un vialetto e’ li, come se mi invitasse a percorrerlo.

Sullo sfondo dello stesso una casa in pietra un po’ diroccata, sembra non esserci nessuno, per lo meno al di fuori, poi magari all’interno ci sara’ qualcuno che stara’ rilassandosi dopo una dura mattinata in campagna.

Bellissimo! Un enorme albero di fichi mi invita a coglierne qualcuno, infatti, senza manco scendere dalla bici, allungo una mano e ne raccolgo uno, lo apro e golosamente lo ingoio, poi un’ altro ed un altro ancora.

Penso che sia meglio tornare velocemente sulla strada, non si sa mai il proprietario della casa e dell’albero prima di cacciarmi via mi scagli qualche grossa pietra per spaventarmi.

Incrocio un’altra stradina che si interseca solo da un lato, allora decido di percorrerla tutta attraversando ancora campi di grano, stavolta e’ stato gia’ falciato, degli uomini sono intenti a raggruppare con grossi rastrelli di legno i vari mucchi di fieno.

Piu’ in la’ ci sono anche dei bambini, anche loro con dei rastrelloni, ma sembra piu’ che altro che giochino.

Alzo un braccio a mo’ di saluto, ... prima mi salutano i bambini, poi gli uomini, ... non so se rispondono per cortesia ... o forse solo perche’ mi hanno scambiato per qualcun’altro

La strada si sussegue in continui dossi, brevi discese e brevi salite, talvolta riuscendo a prendere velocita’ ed appena in cima alla collinetta, mi spingo velocemente sulla discesa pedalando come un forsennato ... arriva un leggero e piacevole mancamento allo stomaco ed ho la sensazione che le orecchie si otturino, deglutisco velocemente saliva ed immediatamente si sturano ... e da quel momento in poi riesco a sentire benissimo il fruscio del vento che mi sfiora il viso.

Incrocio un’altra strada, non e’ molto larga ma sembra anch’essa un continuo susseguirsi di dossi, decido di percorrerla ... chissa’ dove mi condurra’, allora accellero l’andatura e mi accorgo che dietro di me lascio una scia di fumo,  e’ la polvere che si alza al mio passaggio.

Sono costretto a rallentare perche’ di fronte a me c’e’ una densa nuvola della stessa polvere che lascio alle mie spalle, non riesco a decifrare ancora di cosa si tratta ma di sicuro viene nella direzione opposta.

Man mano che ci avviciamo mi rendo conto che si tratta di un grosso trattore, ... ora che siamo molto vicini mi conviene accostare su di un bordo e fermarmi completamente poiche’ rischio di non vedere piu’ nulla.

Fragorosamente il grosso mezzo mi sfiora, in cima allo stesso un uomo con un grosso cappello sulla testa lo tira via a mo’ di saluto,  rispondo solo alzando un braccio, ... riesco ad intravedere alle spalle del trattore un grosso rastrello metallico tenuto su da corde per non farlo urtare sulla strada.

Ancora una grossa nuvola di polvere bianca mi invade, trattengo il respiro e tengo ben strizzati gli occhi, finalmente il tutto svanisce come d’incanto e torna limpido come prima.

Pero’ io sono tutto impolverato, prima di riprendere a pedalare mi scuoto un  po’ gli indumenti, mi stropiccio un po’ gli occhi e via.

Arrivo ad un incrocio, da entrambi i lati della strada si intravedono masserie, la piu’ grande alla mia sinistra e’ indicata da un cartello in legno su due pali: Masseria Santa Teresa,  invece svolto a destra ed incomincio una specie di lunga discesa.

Ancora un grosso incrocio, stavolta e’ con una strada asfaltata, da entrambi il lati della strada ci sono due salite, praticamente sono in un enorme fosso, o almeno cosi’ sembra, solo che lo stesso e’ solcato dalla strada che sto percorrendo

Lungo il bordo stradale asfaltato, una pietra miliare, ... (sorrido ricordando una battuta del grande Toto’ “una pietra emiliana”) ... riporta inciso una dicitura: SS 172 Martina Franca  XXX  ... sono sulla strada per Martina, penso di proseguire diritto, poiche’ una bella strada in terra battuta bianchissima mi si presenta innanzi.

La cosa piu’ strepitosa e’ che un po’ piu’ avanti dell’ingresso, sui bordi della stessa, delle palme altissime arricchiscono il tutto e sembrano darmi il benvenuto ... accellero l’andatura e mi accorgo che dietro di me stavolta lascio una scia di fumo bianco.

Sullo sfondo una torre merlata sovrasta vetuste mura di una antica costruzione, sembra una fattoria, ma molto grande.

Da un lato si distinguono perfettamente i campi arati, piu’ avanti i vigneti  ed alberi d’ulivo a perdita d’occhio, ma cio’ che prelude la bellissima visione e’ il meraviglioso tremolante mare giallo di grano.

Penso di aver fatto giusto in tempo a vedere quella meravigliosa cartolina, non hanno ancora effettuato la mietitura ed il giallo si presenta cosi’ sfavillante ai miei occhi quasi da soffrirne la luminosita’  ... si’, davvero un’immagine degna da immortalare in una cartolina.

A sinistra, in alto su una piccola collina, un’oasi di platani ondeggia come a solleticare il cielo appena velato di nuvole.

Freno dolcemente per centellinare al massimo le immagini, ma la leggera discesa mi sospinge dolcemente, poi una dolce curva ed infine un lungo viale alberato mi dirige proprio dinnanzi alla arcaica masseria.

L’altissima torre ora giganteggia proprio sul viale alberato, da lei partono delle obsolete mura di cinta in carparo ombreggiato da muschio,  fino alla maestosa arcata dell’ingresso principale.

Molto adiacente al muro di cinta un pannello in legno decorato con fiori disegnati, anche se un po’cancellati dal tempo ed una scritta:  Masseria Terresiola   

Proprio di fronte, sul mio lato destro, una cappella recintata da una cancellata in ferro, sulla parete, nello sfondo della stessa, l’immagne religiosa dipinta e’ adorna di fiori freschi,  sul cancelletto di ingresso del sacrario una targa in ottone con su inciso: famiglia Di Maggio. 

Mi viene spontaneo soffermarmi quasi come in preghiera, solo per pochi minuti cado in una specie di trance, come a ringraziare chi cosi’ generosamente mi ha donato tutto cio’ che e’ davanti ai miei occhi.

Un sordo rombo di motori ed un vocío di uomini mi riporta alla realta’, sono i lavoranti della masseria che rientrano forse per la pausa pranzo, ... in effetti un languorino mi attanaglia lo stomaco, sara’ l’orario...

Riprendo la mia bici e ricomincio a pedalare di buona lena, mi avvio su un viottolo attraversando un vigneto a tendone, al termine dello stesso vedo una vecchia casa, le pareti dipinte di fresco a calce mi confermano che e’ abitata, infatti un grosso cane legato ad una lunga catena mi abbaia contro.

Nel soffermarmi davanti al muro a secco che recinta l’abitazione, vedo uno stupendo albero di albicocche traboccante di coloratissimi frutti che libra i suoi rami all’esterno del muro.

Non posso resistere alla tentazione di allungare le braccia e raccoglierne qualcuno, d’altronde il mio stomaco comincia a ribellarsi, quindi approfitto con volutta’.

La prima presa al volo, una strofinatina sui pantaloni giusto per rimuovere un po’ di polvere, spaccata in due per rimuovere il nocciolo, due bocconi e via, ripeto il gesto, poi una volta ancora, gia’ sento la mia pancia mormorare di meno.
Subito dopo salgo sul muretto a secco per facilitarmi l’impresa, istintivamente, rigiro la mia maglietta a mo’ di marsupio e comincio a colmarla dei profumatissimi frutti, anche perche’ penso di mettere prima al sicuro il delizioso bottino per poi gustarmelo tranquillamente.

Improvvisamente un abbaiare, e’ un volpino .... proprio uno di quei simpaticissimi ma fastidiosissimi cagnolini dalle orecchie a punta e la coda lunga a piumino.
Salto giu’ dal muretto tenendo ben salda la mia refurtiva, inforco la bici ma non faccio a tempo a partire perche’ la simpatica bestiolina mi attenaglia i pantaloni quasi impedendomi di prendere l’equilibrio ed avviarmi ad una indecorosa fuga.
Con una violenta scrollata della gamba riesco a liberarmi, una piccola rincorsa e via pedalando a tutta forza, mentre l’animaletto, piu’ che mai infuriato, continua a rincorrermi abbaiando a perdifiato, ma sono piu’ veloce e quando si rende conto che ormai sono inprendibile mi lascia perdere, ... tuttavia mi volto per un’ultima occhiata e scorgo nei suoi occhietti un velo di soddisfazione.

La stradina ora protende in una dolce discesa, davanti ai miei occhi improvvisamente si apre un panorama che, anche se visto altre volte, e’ sempre meraviglioso e so che non mi ci abituero’ mai a questa spettacolare visione.

Mi fermo, mi sistemo sedendomi su una pietra e ricomincio ad assaporare le mie gustose albicocche, mentre i miei occhi vagano lungo l’orizzonte.

Ero veramente affamato, ho divorato tutto in pochi minuti, e’ l’aria che stimola l’appetito, subito dopo riprendo il mio girovagare.

Arrivando giu’ nella grande vallata, stavolta incrocio un binario, perplesso cerco di orientarmi per rendermi conto se sono tra Taranto e Nasisi oppure sono oltre.

Osservo la lunga coppia di travi metalliche, le parti superiori sono luccicanti per quanto sono lucide, le traverse in legno le allineano perfettamente fissandole con enormi chiodi, gli spazi tra le traverse sono ricolmi di ghiaia quasi a livellare tutto,  eppure e’ invitante ... decido di ...   e’ ipnotizzante percorrerle velocemente.

Mi sono allontanato andando verso sinistra, sullo sfondo un piccolo convoglio ferroviario fermo, intuisco che e’ li la stazione di Nasisi.

Due uomini da lontano mi fanno  gesti come per scacciarmi da li’, hanno ragione e’ pericoloso, ma in quel tratto i binari sono leggermente soprelevati dal resto della campagna, allora mi fermo e, con la bici quasi a tracolla, scendo lungo quel leggero pendìo riprendendo a pedalare non appena ritrovo un piccolo sentiero.

Ecco il posto giusto, mi fermo per ammirare assorbendo tutta l’essenza di cio’ che mi si prospetta.

Il sole e’ alto, questo enorme ulivo sembra messo li’ apposta, un costone dell’albero e’ ribassato ed ha proprio la forma di una sedia, spalliera compresa, la sua fresca ombra ed una lieve brezza di vento mi tonifica.

I  miei occhi riprendono ad osservare lungo lo straordinario orizzonte.

In basso e’ come una foresta, enormi platani in una assurda simmetria sparano verso il cielo i  loro rami dolcemente mossi dal vento, alle loro spalle si estende una distesa di acqua, a tratti blu turchese, in parte verde smeraldo, zone chiare e zone piu’ scure si fondono in una miscela di colori che rispecchia il riflesso del cielo.

Sembra un lago, la limpidezza dell’aria mi permette di distinguere tutto, riesco ad vedere nitidamente le schiere di pali incrociati delle cozze che affiorano dal pelo d’acqua, sull’altra sponda ricomincia il verde ed il giallo, risalendo dolcemente su in collina, sullo sfondo di un azzurro travolgente spennellato da batuffoli di nuvole bianchissime.
......................

Non avrei dovuto addormentarmi, ma in fondo questa sensazione di tranquillita’ che mi pervade mi ha quasi portato in estasi, mezz’ora, forse un ora non so bene, ma e’ meglio che riprenda a pedalare, anzi non pedalo neanche, la discesa mi trasporta da se’.

Dopo aver percorso stradine impervie, passo tra campetti arati. I solchi sono perfettamente allineati tra loro, vi spuntano germogli di piantine, forse verdure o forse ortaggi non sono sicuro, allora sono costretto a fermarmi per osservare bene, la curiosita’ mi fa addirittura inginocchiare ad annusare e scopro che sono piantine di pomodoro, mentre dall’altro lato ci sono gli inconfondibili ciuffetti di finocchio, ne spezzo una punta e, quasi infilandolo nelle narici, ne aspiro il profumo fresco, quasi pungente.
Riprendo a pedalare ed avvicinando spesso la mano al naso, riprovo la straordinaria essenza di cui e’ intrisa.

Proseguo  incrociando un’altra strada sterrata, la percorro per un po’. Sui suoi bordi, grossi cespugli di more nerissime, ed ancora mi fermo, ne raccolgo qualcuna e l’assaporo, poi mi allontano rapidamente perche’ c’e’ un piccolo alveare, infatti le api infastidite quasi mi avvertono aumentando il loro ronzare come un allarme per l’intruso.

Svolto ancora alla mia ìsinistra, scendendo ancora verso il mare, mi ritrovo innanzi ad un canneto.  Proseguo a piedi, trascinando di lato la bicicletta, una brevissima sosta ed ascolto il lieve rumore di uno scroscìo d’acqua, come se sgorgasse dalla terra.
Giro attorno alle canne e mi ritrovo dinnanzi alla meravigliosa sorgente del fiume Galeso.
E’ come se spuntasse dal nulla, solo dalle lunghe canne verdi che mimetizzano il punto da cui nasce all’esterno della terra.
La sua acqua e’ trasparentissima, riesco a vedere a piccoli branchi gli avanotti di cefalo che vorteggiano.

Mi siedo sul suo bordo, rimuovo le scarpe e vi immergo lentamente i piedi, l’acqua gelida mi da’ una scossa di corrente che risale su per la schiena fin dietro alla nuca, ma e’ tonificante e dopo pochi secondi mi ci sono gia’ abituato.

Sull’altra sponda due grossi aironi, dopo un primo disappunto per la mia presenza, riprendono ad amoreggiare tranquillamente, emettendo sommessi e languidi stridii.

Posso anche dissetarmi, infatti con le mani giunte a mo’ di coppetta, raccolgo la fresca acqua portandola alla mia bocca, prima l’ acqua dolcissima e leggerissima mi raggela i denti, poi scende giu’ lungo la gola a fiotti, rinfrescandomi internamente.

Riprendo la bici e proseguendo a piedi lungo il bordo della sorgente, oltrepasso un piccolo ponticello in cemento armato.
Il piccolo ponte e’ una specie di diga, delimita la parte in cui il fiume si allarga e comincia ad aumentare la profondita’.

Quel punto e’ denominato “ ù puzzette “ piccolo pozzo, piccolo perche’ la trasparenza dell’acqua permette di vederne il fondo chiaro della sabbia, dopotutto in quel punto sara’ non piu’ profondo di un metro ed ottanta o forse al massimo due metri.

Ma le mie gambe, ormai tonificate, mi trascinano oltre, sanno gia’ dove andare, cercano un punto preciso, il punto degli “eroi”, il posto dove da bambino potevi dimostrare la tua forza ed il tuo coraggio, ...“ù puzze “  il pozzo.
 
Infatti appena dietro la prima ansa del fiume eccolo, li’ come se mi aspettasse, pronto a sfidarmi ancora.

Mi sembra tutto immutato, come quando ero un ragazzino e con il mio gruppetto di amici raggiungevamo il fiume con le nostre bici graziella.
Allora si’ che sembrava lontanissimo, ma era intrigante farlo, sia per la distanza, sia perche’ i nostri genitori ce lo avevano proibito e ... per il pozzo.

Accantono la bici e mi affaccio su di esso per osservare meglio, ora ha un’altra visione, il suo fondale scuro e profondo  non permette ai miei occhi di andare oltre il suo pelo d’acqua.
Le piante acquatiche circondano tutta l’ansa, anch’esse di un verde scuro, rendendo ancora piu’ tenebrosa l’atmosfera che si sta creando.

Mi sporgo un po’ di piu’, ma riesco a vedere solo la mia immagine riflessa ed i gorgheggi dell’acqua sulla sponda.

Adesso mi rendo conto di quanto ero incosciente, mi prendono brividi di paura e confusione ripensandoci, ma e’ troppo forte la voglia di provarci ancora, molto piu’ della paura,

Rimuovo velocemente scarpe e pantaloni, butto via anche la maglietta, ... rimanere in mutande e’ come tornare indietro nel tempo, al tempo di quando marinavo a scuola e, con gli amici fidati, correvamo al fiume.

Adesso sono quasi in trance, so cosa mi spetta, un gelo mi pervadera’ quasi a fermarmi il cuore, forse riusciro’ a stare solo pochi secondi ... tentenno ... cambio idea, ... poi invece no ... tre passi indietro per una piccola rincorsa e ...

Ho la sensazione come se migliaia di piccole lame affilate stiano tagliuzzando la mia pelle, solo pochi secondi, anzi solo attimi e sono giu’ ... penetrando in profondita’.

Il trucco e’ muoversi, pinneggiare con le gambe ed i piedi come se fossi un delfino ed aiutarmi con le mani per scendere ancora piu’ sotto.

Sono giu’, non vedo altro che alghe sul fondo, allora resto in surplace, mi giro su me stesso e guardo in alto, verso la luce, sono quasi seduto sul fondale ad ammirare le bollicine che fuoriescono dalla mia bocca e vorticosamente si dirigono verso l’alto.

Non so quanto tempo sia passato, pochi secondi sembrano un’eternita’, ma e’ tempo di risalire, i miei polmoni hanno immediatamente bisogno di aria, tuttavia risalgo dolcemente, affioro dall’acqua ed istintivamente riprendo fiato a bocca aperta ... ma poi mi abbandono di nuovo.

Resto li’, il pelo d’acqua a meta’ occhi non mi da’ alcun fastidio, di tanto in tanto riprendo aria, ma cerco di avvicinarmi alla sponda per risalire e lo faccio con difficolta’ ... e’ proprio vero ... non ho piu’ quello che aveva il ragazzino di un tempo, ... che sfidava gli altri ... e soprattutto se’ stesso.

Sono intirizzito dal freddo, ho bisogno di riscaldarmi e rapidamente vado alla ricerca di un raggio di sole che riesce a filtrare tra i rami degli alberi.

Poco distante da me un uomo quasi si sofferma ad osservarmi, e’ arrivato molto silenziosamente con il suo procedere a passi felpati. Non prolunga molto il suo modo di guardarmi, forse per non disturbarmi, ma al mio saluto risponde a denti stretti, come se in realta’ fossi io a disturbare lui.

Non e’ molto anziano ed ha un abbigliamento da pescatore, lo conferma la rete che porta appesa tra un braccio e la spalla, mentre nell’altra mano ha un secchio quasi pieno di una pastura bianca che deve essere l’esca per i pesci.  

Poco dopo l’uomo sparisce dietro i cespugli, nel frattempo mi sono asciugato e riscaldato un po’, rimetto pantaloni e scarpe, ma non la maglietta che appendo al manubrio della bici e riprendo il mio cammino lungo la sponda del fiume.

Un delizioso profumo di muschio ora aleggia, mai respirato cosi’ a pieni polmoni, il silenzio e’ rotto solo dal cinguettio degli uccelli che alloggiano nei nidi sugli alberi e dal fruscio dell’acqua che sfiora i rami spezzati, nient’altro disturba la quiete di questo meraviglioso posto.

Quasi mi spavento nel ritrovare il pescatore mimetizzato tra i cespugli di canne, mi celo anch’io per continuare ad osservare il suo lavoro.
E’ ricurvo su se stesso ed ha un procedere come di  tigre che punta la sua preda.

Adesso riconosco anche il tipo di rete che adopera, poiche’ l’ha predisposta tra le sue braccia e la spalla in una posizione per me inconfondibile, ... e’ “ u’ rusazze “  il rosaccio.
E’ una rete circolare dotata solo di piombi che la appesantiscono ai bordi, una sorta di anello, dove la fune di richiamata centrale e’ legata ad una specie di ragnatela allacciata sulla bordura stessa,   ma penso che forse in italiano si debba chiamare “sparviero”, per il modo di tenerla posizionata sull’avambraccio e la spalla stessa.

Passo dopo passo lo vedo avvicinarsi silenziosamente,  poi, protendendosi leggermente sulla sponda, fa scattare tutto il suo corpo in una elegante e flessuosa manovra, il suo braccio si allarga roteando e scaglia la rete sull’acqua, mentre allungando l’altra mano tiene la corda che scorre fino a che, con un rapido movimento, ritira aiutandosi poi con entrambe le mani.

U’ rusazze e’ adesso chiuso a sacco, l’uomo velocemente lo recupera sulla battigia, all’interno si intravedono i primi brillantii argentati dei cefali che ha catturato, man mano poi sempre piu’, segnale inconfondibile di una ottima “calata”.

Poco dopo l’uomo e’ appollaiato sui polpacci intento a rimuovere i pesci e riversarli nel secchio.
Penso che e’ il momento giusto per passare.
Avvicinandomi a lui mi soffermo silenziosamente ad osservare da vicino, saranno forse poco piu’ di una ventina di cefali di medie dimensioni, sicuramente i piu’ gustosi da mangiare.

L’uomo rivolgendomi un’occhiata di complicita’ scandisce una frase in dialetto: <Cu’ sta’ calata hame fatte ‘a sciurnate!>  <Con questa pescata ho fatto la giornata!
Come a sottolinearmi che e’ il suo mestiere e che il frutto del suo lavoro gli permettera’ di poter guadagnare qualcosa.

Proseguo molto lentamente, suoni ed odori si miscelano ancora, mentre gli occhi scrutano ogni piccola immagine.

Tutto nella penombra sembra che viva li’ da sempre, gli alberi altissimi sulle due sponde del fiume sembrano abbracciarsi con le loro chiome, come a proteggere questo piccolo tesoro d’acqua dolce fino a che vada a riversarsi nel mare.

La grande curvatura del fiume sullo sfondo e’ illuminata, infatti gli alberi improvvisamente finiscono il loro compito, e’ il punto dove le due acque si congiungono ....  Sono alla foce.

Le due anse si allargano leggermente e con armonia si legano alla spiaggia, ma c’e’ ancora qualche cespuglio e ciuffi di canne, che sicuramente racimola le ultime essenze di acqua dolce.

I galleggianti di due reti abbastanza lunghe sembrano dividere il fiume in due parti, infatti le pallozze rosse sono disposte a V,  su di un lato ci sono barche in legno ormeggiate e vedo due teste chine ondeggiare.

Avvicinandomi riesco a sentire le voci sommesse dei due uomini ed avvicinandomi ancora li vedo seduti sulla spiaggia intenti nel loro lavoro, riparano le loro reti e forse le preparano per immergerle ancora.

Uno, il piu’ anziano, ha una specie di stecchino di legno con del filo bianco avvolto attorno, con maestria, tenendo tesa la rete tra le dita, infila questa sorta di ago nelle forature per rammendare gli strappi che probabilmente si sono formati  nell’ultima calata.

L’altro invece, passando la rete da cima a fondo tra le mani, controlla che sia tutto in ordine, poi con una strana pinza schiaccia i cilindretti di piombo per assicurarsi che siano ben serrati sulla corda di base e verifica il cordino che blocca i galleggianti.

Rispondono quasi contemporaneamente al mio saluto, al che il vecchio lascia cadere la rete e si alza in piedi stiracchiandosi sulle reni, poi si avvia verso la barca e prende le sue sigarette senza filtro, ne sfila una dal pacchetto, la mette tra le labbra e l’accende con un lungo fiammifero da cucina.

Con un sorriso gli chiedo se tutto andasse bene, il vecchio ricambiando il mio sorriso con la sua bocca sgangherata, tira una lunga boccata di fumo, sputacchia un po’ di tabacco rimasto tra le labbra, e mi dice: <Com’ hadda sce’ figghije mie ... no’nne putime lamendà!>  <Come vuoi che vada figlio mio, non possiamo lamentarci!>

Il suo volto e’ scavato da lunghe rughe dovute al sole e la salsedine marina, un vecchio cappellino copre la sua testa canuta, i suoi occhi sono incavati nelle orbite, ma la profondita’ delle sue pupille nere e’ dovuta a ben’altro, sicuramente a quanto hanno visto e incamerato nella sua memoria.  Gli chiedo di raccontarmi qualcosa sul fiume.  

Sembrava non aspettasse altro, comincia con una lunga storia, suo padre, il padre di suo padre ... quattro figlie femmine,  il suo figliolo ora li’ con lui ad aiutarlo, l’altro figliolo emigrato al nord a cercare fortuna, ma ora chiuso a lavorare in una fabbrica di automobili dalla mattina alla sera  e con quel che guadagna riesce appena a sopravvivere ...

<S’avesse rumaste aqqua’ ... almene mangiave sicure!> ... <Se fosse rimasto qui almeno avrebbe avuto da mangiare di sicuro!>  Esclama un po’ arrabbiato, su come le circostanze della vita coinvolgessero la gente a tentare una vita migliore, abbandonando un cosi’ grande tesoro.  

Parla del fiume, l’acqua arriva da sotto terra, appare all’improvviso e nessuno sa da dove proviene ... poi arriva fino al mare ...   Parole semplici di un uomo colto a modo suo,  ... continua dicendomi...

Quella dolce sa benissimo di essere indispensabile per rigenerare il nostro mare, cosi’ come i citri che sgorgano direttamente all’interno di esso, sono tutti di acqua dolce, se provi a bere nel centro sentirai come e’ buona ... il Mar Piccolo e’ il nostro tesoro ... e tutto cio’ che lo circonda.

Mi dice di guardare indicando i pali delle cozze, ...  <So’ le megghije cozze d’u’ munne!> <Sono le migliori cozze del mondo!>  e come per assicurarmi che quello che mi racconta e’ vero, di tanto in tanto chiede conferma al figlio che asserisce solo con un cenno della testa.

Continua raccontandomi di avere amici coltivatori, “cùntadine” come li chiama lui, fanno il vino buono, e la loro terra e’ fertile, si scambiano prodotti, un vero e proprio baratto senza lucro.

Ancora continua con racconti di pescatori, di barche, ed ogni cosa che narra sembra emozionarlo.

Intanto nel mare appaiono tre bellissime ragazzine con le gonne tirate a mo’ di pantaloni, si inchinano affondando un braccio nell’acqua,  tirando su’ tonnine e vongole, riponendole poi nei cestini che tengono nell’altra mano.

Due di loro hanno i capelli raccolti dietro la nuca, la terza invece, che pare essere la piu’ piccola, ha una treccia lunghissima che le scende lungo la schiena.

Resto ammaliato da quella immagine, sembrano tre madonne che si riflettono sul pelo dell’acqua appena increspato dalle onde provocate dai loro lenti passi.

Ridono alle loro battutine fatte sottovoce ... forse parlano di me, ... di quanto sembro curioso.

<Quelle sono tre delle mie figlie, le piu’ piccole, vanno a scuola ma durante la stagione calda aiutano la baracca> ... La voce del vecchio mi riporta subito alla realta’.  

Il suo tono di voce ora e’ diventato orgoglioso, ha gli occhi lucidi ... ed io sono davvero emozionato ... con  un groppo alla gola gli chiedo scusa per avergli fatto perdere del tempo prezioso.

Lui invece mi rassicura, mi dice di tornare li’ a trovarlo quando voglio e che se una volta capita che e’ rientrato dal mare mi fara’ assaggiare il suo pesce appena pescato ... magari lo arrostiamo li’ ... insieme.

Riprendo il mio cammino, la saggezza del vecchio mi ha profondamente colpito ... la sua estrema gentilezza,  il suo gesticolare, il sorriso mentre raccontava qualcosa che lo allietava ed il modo di arricciare le sopracciglia quando invece lo crucciava, ... poi le sue mani usurate, le nocche nodose, mani che sicuramente avranno preso tanto di quel gelo nelle fredde ed umide mattinate in mare, ma nonostante tutto ancora poderose, soprattutto nella sua stretta per salutarmi.

Sono sommerso nei pensieri, sto calpestando una sabbia che ho gia’ percorso, ogni passo sembra riportarmi indietro nel tempo ... adesso e’ come se stessi rimarcando le mie stesse impronte lasciate chissa’ quanti anni prima, ... procedo ad andatura breve, giusto per non perdere il passo ed il ritmo, calcolando, ... come quando i miei piccoli piedi lasciavano le orme sulla rena, ... mi sembra quasi di vederle ancora li’, sulla stessa battigia.

Adesso la costa si prospetta con un’ampia curvatura, un odore acre di salmastro dovuto alla macerazione naturale delle alghe punge le mie narici, qui accellero l’andatura per riuscire a passare velocemente oltre quel punto, anzi salto sulla bici per fare ancora prima, ma visto che ci sono proseguo su, rallentando di tanto in tanto ... per non disperdere nulla.

Sono arrivato quasi in prossimita’ dei cantieri Tosi, riuscendo a passare anche in mezzo a tratti impervi, il sole si sta abbassando alle mie spalle, la mia ombra si e’ allungata  e di fronte mi ritrovo uno sfondo blu intenso che, alzando gli occhi, schiarisce fino a tornare nell’azzurro pallido.

Mi fermo e mi siedo su un vecchio tronco che forse era stato utilizzato come palo per le cozze, e’ un’ottimo caposaldo per ottenere tutta la visuale della mia citta’,  infatti, come grazie ad un grandangolo, riesco a vedere tutta la straordinaria Taranto che si affaccia sul Mar Piccolo, mentre alle sue spalle il sole gia’ rosso scende dolcemente quasi nascondendosi dietro di essa.

Nitidamente distinguo la Punta Pizzone, poi con il suo seno interno si allaccia all’Arsenale, le navi ormeggiate alle banchine sembrano addormentarsi insieme al posto dove sin dalla mattina e’ stato animato dalla operosita’ della gente che vi lavora, nel frattempo si accendono le prime luci, ... come candele adornano e riscaldano la mia visione.

Ancora piu’ avanti, nella parte alta, i palazzoni del borgo della citta’ sembrano dominare il tutto, fino ad interrompersi bruscamente sul canale navigabile, l’arco del Ponte Girevole collega la vecchia isola alla modernita’, mentre lei da’ l’impressione di restare ancora nel suo straordinario torpore, ... anche li’ si accendono flebili e tremolanti luci, come un candeliere che tenuamente illumina senza disturbare.

L’ampio riflesso del sole rosso sul mare riesce a passare oltre, sotto le arcate del Ponte di Pietra, paranze e lampare vi passano davanti tagliando il riverbero luminoso, chissa’ dove sono dirette, forse tenteranno ancora stanotte, approfittando della bonaccia e di un mare che sembra una enorme tavola.

Appena dopo, i cantieri navali di Porta Napoli, poi lo strapiombo delle Sciaie e, sovrastare su tutto, i palazzi dei Tamburi, il Rione da dove stamattina ho dato il via a questa fantastica avventura che spero non termini mai.

Ecco, e’ il momento ... il sole e’ al punto giusto ... improvvisamente i miei occhi tornano indietro velocemente ... e’ al centro del Ponte Girevole, tagliato in due dallo stesso, tra la Citta’ Vecchia e la Citta’ Nuova, ... strizzo un po’ gli occhi, mi sforzo per non perdere la messa a fuoco, ... non voglio perdere neanche un attimo di questo incantesimo.

Pochi minuti e il sole scende oltre ... scompare lentamente lasciando il suo rossore rubino sullo sfondo che avvolge tutta la citta’,  ora tutto e’ in risalto in questo prodigioso tramonto che sembra salutarla per donarla alla notte, che la cullera’ tra le sue braccia ... dolcemente.

Restero’ qui stanotte, ... a vegliare su di te ... non permettero’ che ti facciano del male ... con i loro draghi infuocati, con i loro geiser artificiali ... con la morte in agguato.

E se hai bisogno di me ... fammi solo un cenno, un fischio ... ed io saro’ pronto a correre per salvarti.


pepp’nest
Ultimo aggiornamento ( venerdì 28 settembre 2007 )
 
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