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Dagli amici mi guardi Iddio... PDF Stampa E-mail
L'ha scritt carlo "usinnache"   
mercoledì 07 maggio 2008

 Tanti di noi si sono imbattuti nei "falsi amici", non intendendo con questo termine dei novelli Jago che hanno malripagato il nostro affetto con un subdolo tradimento, ma quei lemmi o frasi di una certa lingua (L1) che pur presentando una notevole rassomiglianza morfologica (omografia) e/o fonetica (omofonia) con altre espressioni di un'altra lingua (L2), ne differiscono sostanzialmente per il significato, e traggono perciò in inganno il parlante della lingua L2. Esempi di falsi amici in italiano sono l'inglese "traduce" per diffamare, il tedesco "kalt" per freddo, il francese "ville" per città, o l'espressione latina "I Vitelli dei romani sono belli" che nella corretta traduzione significa: "Va', o Vitellio, al suono di guerra del dio romano".

 

 

Questi equivoci, a volte divertenti ed a volte drammatici, non capitano solo con le lingue "ufficiali" ma anche - se non più - con i dialetti, come esemplificato dagli aneddoti riportati qui di seguito e su questo thread del Purtuso.

Domenico (non) è sempre Domenico

Comincio con un classico... se siete ad Ostuni e luoghi limitrofi e fate la conoscenza di una simpatica persona di nome Domenico, evitate di chiamarlo col vezzeggiativo Minguccio.
Infatti Minguccio (diminutivo-vezzeggiativo dello spagnolo Domingo, che testimonia quanto l'impronta iberica sia stata forte dalle nostre parti) in quelle zone indica l'asino, in termini più offensivi che elogiativi, come ha scoperto una signora che, ignara di questo fatto, aveva chiamato Minguccio un Domenico che rudemente rispondere: "Signo', li mingucci tutt'a casa toa stonno!".

Dillo a parole tue

Altro esempio, noto agli studenti universitari in Firenze, Pisa o Siena è quello del "citto", che qui da noi si traduce come "zitto" mentre in Toscana significa "ragazzo". Aneddoto a metà tra storia di vita vissuta e leggenda metropolitana è quello del povero tarantino appena giunto in terra d'Arno che entrato in una drogheria a fare spesa provò ad esprimersi a gesti, essendo stato accolto dal pizzicagnolo con un "Dimmi citto", a cui l'uno e l'altro attribuivano significato affatto diverso.

Si, ma anche no...

Se invece qualcuno parla l'albanese "arbesh" di San Marzano di San Giuseppe, in cui "jo" significa "no", si ricordi che con lo stesso fonema, in alcuni cantoni della Svizzera tedesca si intende invece "si" a causa della modifica fonetica del tedesco "ja" con chiusura della vocale finale. Lo sperimentò a sue spese anni fa una graziosa fidanzata elvetica di un emigrante nostrana che, presentata alle matrone della di lui famiglia rispondeva con vezzosi "jo" alle profferte di caffè, dolci e pasticcini, vedendoseli poi sottrarre davanti agli occhi dalle signore che, credendo che la poveretta rifiutasse tutto il bendidio che le offrivano, alla fine la mandarono a quel paese con modi assai poco gentili.

Guardare e non toccare

Nel malinteso di cui dirò è facile incappare trattando con persone originarie della zona orientale della provincia, ovvero con chi abbia il parlato fortemente influenzato da inflessioni e regole grammaticali messapo-salentine: Savesi, Lizzanesi, Manduriani, Avetranesi e litoranei assortiti, tanto per intenderci.
Il termine incriminato è "affittare", che in italiano indica il concedere in uso temporaneo un bene produttivo dietro il corrispettivo di un compenso pattuito, mentre in alcuni dialetti significa "guardare".
Accadrà quindi all'incauto ignaro di codesta trappola linguistica di recarsi sulla zona costiera che si stende da Pulsano a San Pietro in Bevagna alla ricerca di una villetta per le vacanze e, individuato uno stabile di suo gradimento chiedere al proprietario: "Scusi, questa villa si affitta in estate?" per sentirsi rispondere dalla controparte: "Cumpà, ci no' stè nebbia, sine!"

Io penso positivo (perché son vivo perché son vivo...) 

Rimanendo in tema di litoranea orientale, mi sovviene or ora il misundersanding in cui incappò un mio cugino vicentino, giunto in vacanza oltre vent'anni fa con alcuni amici suoi conterranei.
I baldi giovani presero in affitto una modesta casetta in quel di Torre Ovo da un rubizzo contadino savese, che rilevando la provenienza "extra moenia" dei suoi coinquilini, cercò di parlare quanto più in italiano possibile mentre forniva loro le istruzioni per il godimento della casa.
Ma ovviamente il tranello era dietro l'angolo, e si manifestò nella incauta italianizzazione del termine "appusitijo", che in quelle lande viene impiegato con il senso di "a questo proposito", "perciò", "percui", pentre il florido proprietario lo rese tout court con "positivamente".
Non sto quindi a dirvi le facce dei ragazzi quando sentirono frasi tipo: "Per accendere la luce sotto la veranda sta positivamente il pulsante all'ingresso", oppure "Il motore dell'acqua sta positivamente per riempire il serbatoio sul terrazzo".
Una volta che il varicoso cedente si allontanò sul suo rugginoso trerrote, fui assediato da una mezza dozzina di imploranti ospiti, che mi chiesero lumi su questo uso "positivo" delle domestiche dotazioni.

Ultimo aggiornamento ( domenica 18 maggio 2008 )
 
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