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Fattapposta PDF Stampa E-mail
L'ha scritt carlo "U Sinnache"   
mercoledì 01 aprile 2009

 Mentre mi dedicavo con impegno degno di miglior causa alla costruzione di una Tour Eiffel in scala 1:10 utilizzando solo fiammiferi usati, mi rivolgevo al sempre presente Archibald, il maggiordomo inglese che provvede a soddisfare (quasi) tutte le mie necessità chiedendogli di porgermi un <<fattapposta>> necessario per proseguire il mio lavoro.

Il suo sguardo ignorantemente interrogativo mi mosse a compassione e mi spinse a metterlo a parte delle nozioni che di seguito riporto.

<<Fattapposta>> è un termine colloquiale che designa un oggetto di varia natura e specie, utile alla espletazione di un compito o di una attività più o meno determinata.



La pregevole definizione sopra riportata è compresa nella fondamentale opera <<Raccolta dei termini autoctoni fondamentali ad uso dei pellegrini e degli stranieri in genere>> consegnata ai visitatori di Taranto al loro ingresso a Porta Napoli e redatta dall’erudito italo-svizzero Wolfang Amedeo Misinzippa (Lucerna 1828 - cirrosi epatica fulminante durante la sagra del vino di Carosino, 1898), teorico della preparazione dell’esca per la pesca al cefalo presso la Hauptschole di Gottinghen, che affetto da un imbarazzante priapismo venne arrestato sul lungomare di Taranto per atti contrari alla pubblica decenza.

Ospite forzato a spese della municipalità tarantina, ebbe modo di apprendere svariati termini nostrani, grazie alla costante dedizione nell’insegnamento dimostrata dai suoi compagni di cella che, al fine di consentire all’illustre studioso una pratica “full immersion”, si esprimevano solo ed esclusivamente nel vernacolo bimare.

L’origine del lemma è senza altro da ascriversi al variegato mondo del lavoro artigianale, che tanta parte ha avuto nella formazione del carattere dei nostri conterranei; Nell’ambito della bottega artigianale infatti, difficilmente il “maestro” insegnava esplicitamente le pratiche operative al “uagnone d’a putea” (discepolo) in quanto conscio che quest’ultimo, una volta raggiunto un sufficiente grado di preparazione, lo avrebbe abbandonato per esercitare l’attività in proprio diventando così un temibile concorrente.

Quindi “il mestiere si rubava con gli occhi” e solo i più svegli e portati emergevano dal ruolo di generica bassa forza addetta alle pulizie ed all’acquisto per conto del “mestro” di generi di prima e seconda necessità (caffè, sigarette, Gazzetta dello Sport, ecc.).

Durante la attività lavorativa il discepolo attento doveva già sapere quali attrezzi sarebbero necessitati e doveva passarli al “maestro” non appena questi ne avesse avuto bisogno.

Ecco quindi nascere il termine “fattapposta”, che individua il giusto attrezzo per quella particolare attività che si sta svolgendo in quel momento, termine che veniva perciò usato dalla stessa persona, nell’arco della stessa giornata, per individuare oggetti e/o attrezzi diversissimi tra loro, accomunanti però dalla caratteristica di servire in quel momento al richiedente.

<<Giua’, passame u fattapposta pi aggiustà a rezze>> (Gianni, passami il fattapposta per aggiustare la rete).

<<Giua’ passame u fattapposta pe battere u chiumme>> (Gianni, passami il fattapposta per battere il piombo).

Di avviso diverso a quello del Misinzippa fu invece l’ermeneuta cecoslovacco Gustav Upesh (Praga,1855 - Mazzate sul Glande (AI), 1922) insigne teorico dello scrocco del caffè e dell’aperitivo che affinò i suoi studi presso la scuola peripatetica che svolgeva le sue lezioni tra la SEM ed il bar “Tre palle”, e che nella sua monumentale opera dedicata alle basi fondamentali del gioco del tressette e della stoppa (“Il due secondo si liscia sempre” - Patrone & Sotto Editori), per meglio risaltare la mirabile precisione dei giochi e per evidenziare la indispensabile necessità di definire la situazione delle carte possedute e di quelle richieste col proprio compagno di gioco oppone alle puntuali definizioni quali “venticinque liscio”, “piombo”, “napoletana lunga” il termine fattapposta, dichiarando: <<A ccì sape sciucà sape pure ccè chiedere, no è ca vè ccerche nu fattapposte ci le serve nu tre a bastone o n’ ase de coppe>> (chi conosce le regole del gioco sa bene quali carte chiedere, quindi se necessita di un tre di bastoni o di un asso di coppe non chiede certo un fattaposta).

Il questa visione il fattapposta è quindi qualcosa di cui si ha sentore ma di cui non si sa dare una definizione precisa (un po’ come la politica a Taranto negli ultimi anni, insomma) affidandosi più all’istinto dell’interlocutore ed alla empatia che a lui ci unisce che alla sua fredda razionalità analitica; il fattapposta non è quindi uno strumento preciso ma un impalpabile “oggetto del desiderio”, quasi un “topos” filosofico (non c’entra niente ma fa culturale dirlo), che esaudisce “hic et nunc”, quasi per una inconoscibile volontà divina, il desiderio del richiedente.

 
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