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venerdì 19 aprile 2024
 
 
QUANNA OTRE NO’ TTIENE, CU MAMMETE TI QUERCHE PDF Stampa E-mail
L'ha scritt carlo "U Sinnache"   
giovedì 25 giugno 2009

 Una malaugurata serie di coincidenze aveva decimato la modesta scuderia ospitata nelle rimesse della mia umile dimora e così, a causa di manutenzioni programmate, inconvenienti meccanici, pulitura di tappezzerie e lavaggi integrali, per recarmi dal mio podologo shiatzu dovetti accontentarmi di una dimessa Rolls Royce “Silver Shadow”  che veniva solitamente impiegata dal personale di servizio di bassa qualifica per trasbordare il pattume dalle cucine al cassonetto situato nei pressi del cancello di ingresso all’ala nord-nord-est della mia tutt’altro che sfarzosa residenza.

 

 

Quando mi vide prendere posto alla guida di tale sconveniente veicolo, l’ineffabile Archibald non riuscì a trattenere un modo di disapprovazione, smorfia a cui risposi rassegnato con "QUANNA OTRE NO’ TTIENE, CU MAMMETE TI QUERCHE!" (Quando non hai altre possibilità, vai a letto con tua madre), frase che si abbatté sul mio ignaro domestico squassandolo come un salice in una tempesta, poiché credette che mi apprestassi a passare la notte in automobile non essendo soddisfatto del 125 posti letto disponibili nella mia spartana casetta.

Non ebbi cuore di lasciare il fedele Archie ad arrovellarsi sulla disponibilità dei giacigli e soprattutto non avevo molta voglia di farmi vedere in giro a bordo di una autovettura così squalificante per la mia reputazione così disdissi l’appuntamento con il mio terapeuta e mi recai in biblioteca per recuperare un valido ausilio alla mia ennesima missione chiarificatrice.

Trovai le informazioni che mi servivano nel libro di memorie del giornalista arabo Mhapasshà Hakrammedd (Dahran, 1902 – Fucilato nel 1987 con l’accusa di disfattismo dopo la prima rappresentazione della sua commedia satirica “Gli USA usano, i russi russano e noi siamo esauditi” dedicata agli squallidi compromessi diplomatici del “lassaiz faire” durante le crisi socio-politiche nello scacchiere mediorientale) che fu il capo redattore esteri della stazione televisiva tematica “Al Janhaara” fin quando le autorità non interruppero le trasmissioni sospettando che le ricette di pasta fatta in casa pubblicate dalla emittente nascondessero segnali in codice rivolti alle forze dell’opposizione.

Il Mhapasshà Hakrammedd, nel suo libro “Ci erane megghjie erane nuestre u stesse” ricorda proprio i nefasti risultati della colonizzazione economica e culturale compiuta dalle nazioni occidentali con una perseveranza ed una scientificità degne di miglior causa; Particolarmente toccante è il brano in cui il reporter racconta di un missionario europeo che si stupisce della promiscuità con cui vivono, tutti insieme in un'unica capanna di paglia e fango, i membri di una misera quanto numerosa famiglia autoctona e della orgogliosa ma rassegnata risposta alla sua osservazione fornita dal pater familias: <<Cumbà, quanna otre nnò tiene, cu mammeta ti querche!>>.

Come tanti detti scaturiti dalla saggezza popolare, anche questo presenta diverse chiavi di lettura: la prima è naturalmente quella legata alla indigenza materiale, alle mancate possibilità economiche, alle situazioni di stallo che vivono tanti giovani disoccupati che da molti anni esercitano il loro diritto al voto ma sono costretti, obtorto collo, a domiciliarsi ancora presso la residenza dei genitori e rimandare sine die i loro progetti di autonomia abitativa e di lussuriose copule senza dover temere gli improvvisi rientri dei genitori, schiantati dal someggiare gigantesche buste di plastica riempite di ogni bendiddio presso i locali ipermercati.

Il letto materno è in questo caso simbolo ed allegoria di una condizione di benessere che non si riesce a conquistare, è il mancato ingresso nel mondo degli adulti (è il neonato che dorme insieme ai genitori), è la dolorosa necessità di attingere al portafoglio familiare, come ai tempi della mancetta settimanale, unica fonte di reddito adolescenziale.

Ma il giacere di fianco alla propria genitrice ha anche un’altra valenza simbolica che si rifà all’incesto; la gravissima infrazione di questo tabù, riconosciuto come tale in ogni luogo ed in ogni tempo, indica quanto sia senza altre alternative la condizione del novello ma cosciente Edipo che, stretto nella morsa della necessità, decide scientemente di varcare il punto di non ritorno sulla via dell’abiezione.

Per quanto sopra, l’espressione in esame viene impiegata a commento di un prestito contratto a tassi usurai presso una finanziaria di dubbia moralità dopo che altri e più “rispettabili” (???) istituti di credito ci hanno negato la loro fiducia come anche per evidenziare la scelta di ballare un lento con la ragazza o il ragazzo più racchio della compagnia dopo che tutti gli altri soggetti più appetibili si sono involati davanti ai nostri occhi o finanche per spiegare perché, dopo anni di disoccupazione disperata, ci sia anche chi accetta di suicidarsi lentamente andando a lavorare nelle cokerie e nei parchi minerali del nostro beneamato stabilimento siderurgico.

 
< Vid quidd d'apprim.   Vid 'nnotre. >
 
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