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Briganti, dalla terra per la terra PDF Stampa E-mail
L'ha scritt carmela "Jatta acrest'"   
lunedì 24 maggio 2010

 In questi mesi si celebrano i cento cinquanta anni della unità di Italia, e proprio oggi – 24 maggio – è una data importante per l’Italia. Un fenomeno che è stato descritto con molte omissioni, deformazioni storiche e bugie colpevoli è quello del cosiddetto brigantaggio meridionale. Si sa, la storia la scrive chi vince, e spesso lo fa a suo uso e consumo, ma per fortuna noi possiamo contare su Carmela “Jatta”...

Il testo che segue è l’adattamento di alcuni post presenti su questo topic del Purtuso

http://www.tarantonostra.com/index.php?option=com_smf&Itemid=177&topic=3929.0

a cui vi rimandiamo per ulteriori future aggiunte.

Buona lettura!

(carlo usinnache)

 

 

Oggi sappiamo che i garibaldini erano consapevoli di aver fatto l’Italia ma che bisognava fare gli italiani, ma all’epoca la situazione era molto confusa ed è doveroso il contributo all'altra faccia dell'unità d'Italia ...

A Taranto dal 15-17 luglio 1860 ci furono tumulti contro l’imbarco di grano su navi mercantili del regno. Il grano veniva svenduto per le strade della città pur di non mandarlo ai Borboni.



Pensare che poche settimane prima,la maggior parte della popolazione era di fede borbonica. Appena giunsero notizie dello sbarco a Marsala, alcuni patrioti si ritrovarono a discutere sulla costituzione di una guardia nazionale. Il luogo delle riunioni era  presso il caffè Moro (un vecchio caffè nella piazzetta s: Caterina,
dove ci fu  una sparatoria contro i liberali (detti “le coppole rosse”), pacificamente riuniti. Fortunatamente non ci furono morti. La guardia nazionale fu costituita e l’ordine pubblico fu affidato a migliaia di cittadini armati. Non ci furono più incidenti ma dalla città furono allontanati il sottintendente Giacomo De Monaco e l’arcivescovo Rotondo dichiaratamente filo borbonici, ritenuti responsabili della sommossa dei giorni precedenti.
                                               
Un’altra pagina di storia è stata voltata, ma ancora una volta le trasformazioni sono più subite che volute. Disillusione e scetticismo rimangono il pane del popolo Tutte le velleità innovatrici e i furori antiborbonici trovano sfogo contro la fontana di Carlo V, della quale si decide la demolizione come prova di ostilità contro il vecchio regime.
I contadini lamentano miseria , soprattutto quando l’istituzione del servizio di leva di cinque anni allontana braccia lavoro alle arretrate campagne meridionali. Molti i renitenti costretti a scappare. Il malcontento sfociava in rivolte  e in questo clima l’ alternativa era    brigante o emigrante.                                 
I briganti che agirono nella provincia di Taranto furono:
di Francesco Ranallo detto  il Catalano,
di Francesco Paolo Valerio detto il Cavalcante,
di Antonio Locaso,   lu Capraro,
di FrancescoPerrone,  Chiappino,
di Arcangelo Cristella, detto Pirichillo.
Giuseppe Valente detto  nenna nenna, uno dei pochissimi briganti (se non l’unico)  che sapeva leggere e scrivere e con una spiccata capacità dialettica,  doti che gli valsero il titolo di il letterato.

Ma il più famoso fu Cosimo Mazzeo , detto Pizzichicchio, affiancato da Francesco Maniglia e Tito Trinchera, ma ricordato sempre con  Rocco Chirichigno, detto Coppolone. Rimasti nella storia nei racconti e nei detti tarantini.

I loro alleati erano i massari, che “dovevano” provvedere a dar loro rifugio e vettovaglie, ma le loro dimore erano i boschi e le grotte, famose quelle di bosco chianelle presso Martina Franca, di San Basilio, Castellaneta, Crispiano ...

I briganti erano contadini, analfabeti, delusi, colpiti negli affetti più cari che per protesta, per difesa, per giustizia o per vendetta,  si davano alla macchia.
Ognuno per ragioni diverse seguirono un destino comune.
Erano amati dai contadini e odiati dai padroni, coi quali erano spietati. Per questo contro di loro la  Guardia Nazionale si dimostrò altrettanto crudele. Le campagne venivano rastrellate e quando qualche brigante (o presunto tale) veniva ucciso,  i cadaveri venivano caricati su asini e portati a Martina, in corteo via del Ringo, lungo il rione San Vito e la piazza di San Francesco, per poi essere buttati in un burrone,tuttora identificato  come  "u’ munnezzàre".
I briganti catturati vivi, venivano giudicati nel Palazzo Ducale e portati in piazza Sant'Antonio, nell'ampio largo occupato oggi dal teatro Verdi, dove erano fucilati e poi  buttati indre u’ munnezzàre, la fossa comune dei briganti.

Le gesta dei briganti furono cantate dai cantastorie, e tramandate dalle leggende della tradizione orale contadina, che ha trasformato la feroce realtà in epici eroismi  alimentati dalla passione per  amori impossibili e dalla voglia di ricchezza appagata dai tesori nascosti.

Bellissimi i versi anonimi musicati da Eugenio Bennato che, in pochi versi, fanno capire chi erano i briganti:

Amme pusate chitarre e tammure
pecchè sta musica s'ha da cagnà
simme brigant' e facimme paura
e ca sch'uppetta vulimme cantà


'Omm' s' nasc' brigant' s' mor'
ma fin' all'utm' avimm' a sparà
e se murim' menat' nu fior'
e 'na bestemmia pe' 'sta libertà.


(liberamente tratto da "La storia di Taranto" di M.Lazzarini, P.Massafra, R.Nistri - 1972)

 

 

Il rifugio del brigante Pizzichicchio

 

I briganti vivevano nelle grotte e nelle caverne ben mimetizzate nei boschi.
Quella del Pizzichicchio è stata rinvenuta, non molto tempo fa, nella gravina di Massafra.
Magari in quella torre si sono riposati per una notte o ci hanno vissuto per un periodo.... chissà.

L'unica documentazione certa sui briganti sono i rapporti della Guardia Nazionale sulle loro sulla loro cattura o uccisione.
Le loro storie sono patrimonio della tradizione orale che ha lavorato anche di fantasia tramandando anche leggende su forzieri pieni d'oro sepolti, o nascosti nei luoghi più impensati.

Anche su Pizzichicchio...

Si dice che il Pizzichicchio frequentasse la masseria di "Tatattino", come era chiamato un certo Martino Savino (oggi masseria La Petrosa), vicino San Marzano, suo paese natio.

Una sera Pizzichicchio, sentendo avvicinarsi il momento del suo arresto, si presentò alla masseria con una cassa piena monete e gioielli e chiese al massaro di custodirla e che nel caso morisse, il tesoro era suo.
Il massaro, troppo onesto, non accettò, il Pizzichicchio  conoscendolo non se ne ebbe a male, lo salutò e uscì.
Mentre si allontanava il massaro sull'uscio gli gridò:
< Ma ora che ne farai?>
<Lo seppellirò sotto l'ulivo che mi piace di più>

...

è così che probabilmente un ulivo della campagna tra Taranto e Brindisi custodisce ancora il "tesoro di Pizzichicchio".

Ritornando a Pizzichicchio e alle leggende su di lui, bisogna dire che essere derubati dai briganti, incontrarli, o vedere in lontananza una sagoma con cappellaccio e mantello nero ..... era motivo di vanto .... storie da raccontare a tutti.

Anche Talsano ha la sua ...

Si dice che il Pizzichicchio, dopo la notte grottagliese del 17 novembre 1862, dovesse entrare anche a 'u calavrese, ma....

a quanto si dice, pare che la sera la banda del pizzichicchio si fermò presso una masseria (non faccio nome perchè ogni versione ne cita una diversa, e Talsano ne è circondata... chi dice "pizzariedde", chi "abatresta", chi "rapillo", chi "lecutrane") e con l'intento di rifocillarsi aspettando la notte....
Furono serviti fasùle a cecamariti e vino in quantità. I briganti gradirono molto, fecero il bis e il tris.
I fagioli erano un capolavoro ma non sono facili da digerire, così saziati dai fagioli e confusi dal buon vino, i briganti si addormentarono. Dormirono tutta notte e quando si risvegliarono era già mattina, troppo tardi per compiere la loro impresa.
Così Talsano se la scampò grazie ai fasuli a cecamariti.


©armela

 
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