NE VOLE DE CULE DE QUECCELE |
L'ha scritt Carlo "U Sinnache" | |
venerd́ 08 giugno 2012 | |
Stavo esaminando la qualità di stampa del florilegio di calendari allegati alle riviste in edicola in questi giorni al fine di decidere quale di questi appendere sulla parete del mio modesto ufficio, quando il mio attento sfogliare fu interrotto dal lieve scalpiccio che annunciava l’approssimarsi di Archibald, il mio allampanato quanto ceruleo maggiordomo. Coprii i calendari piazzandoci sopra l’ultimo numero del “Financial Times” al fine di evitare al vecchio Archie le palpitazioni cardiache che gli avrebbe provocato la visione imprevista di più epidermide femminile di quanta ne avesse mai visto fino ad allora e, dopo aver reinfilato i pantaloni, lo accolsi chiedendogli il motivo del suo avvento. Il fedele famiglio mi comunicò con il suo normale aplomb britannico che il sommelier del canale televisivo satellitare “Caure russe” riteneva di non poter effettuare la degustazione del vino novello prodotto con le uve del mio piccolo podere nell’ambito di una trasmissione dedicata alle delizie enogastronomiche della Puglia perché, a suo dire, la percentuale di piombo contenuta nel bicchiere di cristallo da noi reso disponibile per l’assaggio era inferiore a quella ideale. Ben deciso a far notare al presuntuoso avvinazzato che i bicchieri usati nella mia umile dimora erano esclusivamente baccarat, commentai ad alta voce l’infondata fisima dello sbevazzone esclamando: “CE’ NE VOLE DE CULE DE QUECCELE!” (Quante ne vuole di parti terminali di murice). Non potevo non attendermi di ricevere lo sguardo interrogativo di Archibald sul significato della mia espressione e sul perché tanti modi di dire tarentini comprendessero il termine “cule” e così infatti fu; per renderlo edotto con precisione sul significato della mia esclamazione deviai dal tragitto verso la cantina e mi diressi verso la biblioteca di piano, da cui prelevai il prezioso manuale “Metodologie di impiego della Raffo nelle attività di prevenzione dei fenomeni di abbrumaggio delle imbarcazioni del golfo di Taranto” redatto con inarrivabile perizia dal chimico olandese Jaan Van Der Kunaspjnt (Amsterdam, 1658 – Mastopessi clandestina per aumentare il volume dei muscoli pettorali, 1722), noto per aver recitato da protagonista nello spettacolo “The Rocca Horror Picture Show” presso il “Go West Saloon” e per aver gestito con successo il centro di dimagrimento “Molto fumo e poco arrosto” che impiegava gli effetti rilassanti indotti dalla cannabis per limitare la sensazione di fame dei pazienti sottoposti all’innovativo trattamento. Il Van Der Kunaspjnt spiega che con il termine “queccele” viene a Taranto indicato il murice, un mollusco marino dei Gasteropodi munito di conchiglia robusta, rugosa e spinosa da cui in passato veniva estratta la porpora, pregiata sostanza impiegata per tingere gli indumenti. Soppiantata la porpora da altre più convenienti sostanze, il “queccele” viene oggi impiegato per uso gastronomico e consumato cotto in saporite insalate di mare. Come molti altri animali della stessa specie, il murice chiude l’accesso alla conchiglia con una piastra cornea che sigilla l’ingresso ed impedisce l’introduzione di appendici prensili di predatori animali o umani. Questa caratteristica, unita alla piccola dimensione dell’animale ed allo sviluppo spiraliforme della conchiglia, rende assai difficoltosa l’estrazione dell’animale e quindi molto complicato l’assaggio della parte terminale (“u cule”). Stante quanto sopra, affermare che qualcuno vuole “cule de queccele” significa ritenere che la richiesta sia capziosa e quasi impossibile da soddisfare, espressa spesso più per mettere in difficoltà il destinatario che per soddisfare una reale necessità del richiedente; si dirà quindi che “vole cule de queccele” la massaia che pretende esorbitanti extrasconti durante il periodo dei saldi o l’industriale siderurgico che chiede contributi pubblici per l’adeguamento dei presidi antinquinamento della propria azienda agitando lo spettro del licenziamento in massa degli operai, l’insegnante che impone di declamare con giusto ritmo ed intonazione una poesia futurista di F.T. Marinetti o la pulzella che prima di accompagnarsi con qualsivoglia giovanotto ne esamini accuratamente cilindrata automobilistica, provvista economica e dotazione virile. |