Visita guidata a Taranto Vecchia
L'ha scritt Administrator   
venerdì 30 luglio 2004

L'appuntamento è per il pomeriggio del Venerdì Santo, in piazza Castello; ci ritroviamo in una ventina, alcuni sono vecchie conoscenze, altri sono amici incuriositi dalla singolare iniziativa. Il punto di incontro è la statua lignea ricavata dal tronco di un vecchio pino schiantato anni fa dal vento che riproduce una ninfa acquatica e che l'arguzia popolare identifica invece con "Cinzella", una vecchia e leggendaria appartenente alla schiera di coloro che svolgono quello che eufemisticamente viene definito "Il mestiere più antico del mondo".

Già questo particolare dà la cifra dell'incontro, in cui l'ironia e l'arguzia di Vito Roberto gareggeranno con la vasta mole di dati storici e la quantità di aneddoti che ci racconterà.

E Vito parte alla grande con la sua capacità affabulatoria mentre siamo ancora in piazza, comincia a raccontarci dei Messapi e dei figli illegittimi di Sparta che, cacciati dalla madre patria, sotto la guida di Falanto approdarono sulle rive dello Ionio. Ci racconta poi del castello Aragonese, del canale navigabile, della vita florida della "polis" e delle tante battaglie e distruzioni che dovette subire da parte dei numerosi invasori che vollero occuparla per sfruttare la sua posizione strategica.

Siamo tutti lì, attenti e muti come scolaretti, incuranti del freddo e del cielo plumbeo, con le orecchie tese e gli occhi a volte aperti, pronti a seguire le indicazioni di Vito, ed a volte socchiusi, ad immaginare quello che Taranto poteva essere secoli fa.

E non è solo l'amicizia nei confronti di Vito che ci rende attenti, prova ne è che almeno un paio di passanti si uniscono al nostro gruppo, incuriositi e coinvolti anche loro dal dire di questo nostro Cicerone dalla favella pronta e dall'incedere elegante.

Ci spostiamo di qualche passo, entriamo in un vicoletto ed il sipario si apre su palazzo D'Aquino, edificato dalla nobile famiglia longobarda. Il palazzo fu sede dell'Accademia degli Audaci e luogo di nascita di Tommaso Niccolò (1665-1721), poeta e sindaco di Taranto che sposò una Carducci, figlia di una nobile famiglia fiorentina scesa a Taranto al seguito di Carlo VIII nel 1495 circa. Il palazzo è praticamente nascosto alla vista da ponteggi ed impalcature necessari ai lavori di restauro che dovevano concludersi nel febbraio del 2003 (sic!), situazione in cui peraltro abbiamo trovato anche altri palazzi visitati in seguito.

Facciamo qualche passo indietro e torniamo ad ammirare il Tempio dorico, edificato in età arcaica (580 a.C. circa) ed a cui ancora oggi non si riesce a dare una attribuzione certa, oscillando le ipotesi tra Poseidone, o una più probabile divinità femminile, forse Era.

Spostiamo lo sguardo verso il mare ed incontriamo il Municipio, sorto sui probabili ruderi della residenza del governatore della città, il Baglivo, da cui l'antico nome del quartiere 'Baglio'.

In questa occasione, come in altre, Vito evidenzia l'importanza ed il carattere quasi sacro dell'Isola, in cui si concentravano le sedi dei poteri politico/civili, militari e religiosi.

Ancora una breve camminata e raggiungiamo la settecentesca chiesa di Sant'Agostino, purtroppo chiusa, edificata su un'area sacra dedicata probabilmente alla dea Afrodite, che ospita le spoglie mortali del già citato T.N.D'Aquino e che meriterebbe un restauro almeno conservativo, vista l'erba rigogliosa che cresce sul cornicione frontale.

Entriamo in via Duomo e incontriamo Palazzo Calò, nome di famiglia bizantino che significa "bello", di cui fece parte l'iniziatore della processione dei Misteri attorno al 1765, personaggio su cui Vito non lesina battute e frecciatine ironiche, al pari di quelle riservate al primo proprietario di Palazzo Galeota, il fu canonico della Cattedrale don Vincenzo Cosa, arricchitosi probabilmente con l'usura e che, combinando un matrimonio di interesse, assicurò privilegi nobiliari alla sua famiglia. Il palazzo, uno dei più belli della Città Vecchia, risulta dalla combinazione di appartamenti preesistenti e si rifà a modelli napoletani richiamati dagli stipiti delle finestre e, soprattutto, dalle ringhiere in ferro battuto dei balconi.

Di fronte al palazzo, la postierla della Immacolata. Il nome 'postierla' si conserva dall'antico: porta secondaria di passaggio attraverso le mura. Probabilmente era uno degli accessi che dalla città fortificata greca portavano al mare. In antico la linea di costa era lungo l'attuale via di Mezzo; soltanto in età bizantina fu estesa sino all'attuale via Garibaldi per ricavare aree edificabili (colmata bizantina).

Scendiamo lungo il vicolo della postierla incrociando una signora affacciata sulla porta, stupita di un tale traffico di pedoni evidentemente non residenti; al suo saluto segue pronto l'invito ad aggregarsi al già folto gruppo, invito declinato con una simpatica risata. Arriviamo a palazzo Delli Ponti. Altro palazzo settecentesco risultante dalla unificazione di appartamenti precedenti ed oggetto di un robusto restauro, al seguito del quale sono stati trovati, nelle cantine, ambienti ipogei con sepolture di età bizantina. In un angolo del palazzo la torre del Gallo, avancorpo delle mura bizantine, dove - si dice - il re dei Goti Totila (542 d.C.) custodì le sue insegne ed il suo tesoro.

Sfioriamo il Monastero di Santa Chiara, dove non abbiamo visto niente del moltissimo che c'era da ammirare, arriviamo di fronte al Duomo-Basilica-Cattedrale dedicato a San Cataldo, dove incontriamo suor Teresina, la responsabile del centro di aggregazione dei ragazzi della città vecchia a cui abbiamo donato la somma raccolta nei mesi scorsi e di cui parliamo qui di fianco.

Suor Teresina, dopo aver deluso la richiesta di Vito che voleva visitare palazzo Galizia, restaurato ed occupato delle suore del Sacro Costato, intercede per noi e riesce a farci visitare il cortile interno del palazzo Visconti, sede dell'Istituto Universitario del Sacro Cuore, in cui campeggia in bella mostra uno stemma in cui, per un evidente particolare anatomico, è impossibile non riconoscere un toro.

Da qui suor Teresina ci ospita nei locali dove lei e le sue compagne svolgono la loro attività e, dopo una lunga chiacchierata, ci congediamo da lei prendendo la via del ritorno accompagnati dalle prime ombre del tramonto.

Ripercorriamo al contrario via Duomo e ci salutiamo tra noi con gli auguri di buona Pasqua. Al termine di questa esperienza ci sarebbero tante considerazioni da fare, alcune amare ed altre meno, su tutte però spicca sicuramente quella che registra la voglia di tanti di noi, giovani e meno giovani, tarantini di nascita o di adozione, di voler sapere di più sulla storia della nostra città, sui suoi splendori e sulle sue miserie, e su quanto un inestimabile patrimonio di storia, architettura e cultura sia abbandonato a se stesso, soffocato da ponteggi arrugginiti e, soprattutto, dalla rassegnata indifferenza dei residenti e dal colpevole strabismo di chi, fino ad oggi, ha privilegiato il "salotto buono" della città abbandonando alle ingiurie del tempo e dell'uomo gli altri quartieri.

"Last but not least", come direbbero gli inglesi, un grandissimo ringraziamento a Vito per la sua impagabile opera di guida turistica, con l'augurio di potere al più presto fare una seconda visita, magari più lunga e approfondita e, soprattutto, favorita da migliori condizioni atmosferiche.

Ultimo aggiornamento ( venerdì 30 luglio 2004 )