DE COZZARI ELOQUENTIA
martedì 03 agosto 2004
Spesso accade che quanto abbiamo sotto gli occhi sia proprio l’elemento che più sfugge alla nostra comprensione, che quello che definiremmo inutile o fastidioso si riveli invece necessario o addirittura indispensabile.
Consideriamo ad esempio il “cozzaro”, cozzaro inteso non nella sua professione di mitilicultore ma nella sua accezione morale, oserei dire filosofica, ed in tutte le variazioni sul tema, dal “vastaso” al giovane “panarjidde” o alla “zilata”, controparte femminile.

Credo che la maggior parte di noi, aldilà di una prima testimonianza di affetto e simpatia quasi dovuta d’ufficio, confesserebbe poi una certa insofferenza per questa figura caratteristica, tanto da usare spesso e volentieri il termine nella sua accezione dispregiativa per offendere qualcuno.

Quello che però sfugge ai più è però la causa ultima di questo malessere, il perché il confronto con un cozzaro crea questo disagio nella maggior parte del popolo che cozzaro con è (o crede di non esserlo) e, come logica derivazione, perché il cozzaro è e deve essere una figura indispensabile per il corretto equilibrio della nostra società.

In una società dominata dal perbenismo, dalla diplomazia, dal “politically correct”, il cozzaro è la forza della verità, è il coraggio della sincerità, è l’esplosione del vero senza ghirigori e sotterfugi.

Un cozzaro sentenzia “hic et nunc”, dice la verità qualunque questa sia, per quanto scomoda possa essere, per quanto questa comprometta in modo più o meno definitivo la sua possibilità di godere i favori o le grazie di chi invece questa più o meno scomoda verità si vede esporre nella sua essenzialità, senza eufemistici fronzoli o sconti consolatori.

Il campo d’azione in cui questa caratteristica si evidenzia al massimo grado è, e non poteva essere altrimenti, quello che attiene ai rapporti interpersonali, ed in particolare quelli tra uomo e donna.

Una procace ragazza non sarà definita dal cozzaro come “carina”, “bella” o “appariscente” ma come “nù sort’ de piccione”, parimenti una fanciulla a cui difetti la muliebre bellezza non sarà graziata da un diplomatico “simpatica”, “è un tipo” o “bella dentro” ma verrà marchiata con un inappellabile “morse du cesse” così come un interlocutore che non sia completamente d’accordo con le sue idee altro non è che “nù prise chine de mmerde”.

Il cozzaro è essenziale, rifugge dalle circonvoluzioni verbali e non si fa distrarre da artifici e messinscene, a nulla valgono cosmetici belletti o maniere affettate, egli passa oltre quello “che sembra” o che “vorrebbe essere” per arrivare diritto a quello “che è”; il cozzaro ci riporta alla semplicità essenziale, ai valori fondamentali, alla indispensabile necessità che ognuno si faccia carico dei suoi giudizi e delle sue scelte; in un mondo dove la parità viene confusa con l’uguaglianza, dove risulta più comodo portare il cervello all’ammasso e delegare ad altri il compito delle nostre opinioni, il cozzaro è l’ultimo baluardo a difesa della individualità, lo strenuo difensore della unicità di ciascuno, l’estremo vessillo che riconosce e dimostra il diritto del singolo alla propria dignità di essere senziente, il coraggioso la cui anima alata si solleva dal freddamente razionalistico “cogito ergo sum” cartesianamente egualitario per affermare orgoglioso “Nuje? Ce ne vulime de vuje!”, proclama di “jus individualis” che è condizione necessaria e sufficiente perché il singolo, affermando se stesso, passi dallo scontro all’incontro con “l’altro” e diventi la base fondante della società.

Ultimo aggiornamento ( giovedì 28 aprile 2005 )