Stadi Cambetti e relative regole
martedì 27 luglio 2004

Ma su quali teatri si consumavano tali epiche sfide? Se per un "A ci par ve 'mbort", bastava un qualsiasi spazio aperto (un classico era il vialetto asfaltato col cancello di una villa a fare da porta, e la rientranza trapezoidale davanti al cancello come area di rigore. I tiri oltre la traversa erano seguiti da un severo "e mmo’ a ve’ pigghie", che costringeva l’impreciso tiratore ad assumersi le sue responsabilità e scavalcare...), per le partite vere e proprie esistevano (esistono), in città e fuori, degli spazi deputati.

Non si sa se per megalomania o per autoironia, tali spazi, di dimensioni irregolari, ritagliati con fatica in un assedio di macchine parcheggiate, minacciati dalle robbe stese ad asciugare, in cui il pallone veniva difeso a stento dalle insidie di vigili in moto, grattini in agguato, condòmini all’arma bianca, prendevano i nomi dei più rinomati stadi del mondo. E la cosa è ancora più bizzarra in una città dove l’unico stadio vero e proprio viene universalmente chiamato "u' camb".

Fra gli "stadi" di città, si ricordano:

  • il S.Siro, che era una strada all'epoca poco frequentata fra Viale Magna Grecia e Corso Italia; era lo spiazzo davanti all'attuale Pacinotti, ma all'epoca c'era un altro istituto, probabilmente il Fermi.
  • Il campetto carbone, fra Via Emilia e Corso Italia;
  • E chi non ha mai giocato allo spiazzo della Bestat dove c'era Boccardi? Beh, quello era l'Olimpico! Ed era meglio illuminato, per giocare la sera. Le partite, infatti, d'estate si potevano protrarre anche fino all'1 o le 2 di notte.
  • La rotonda di Lungomare era il Maracanà. Il problema fondamentale era che una volta alla settimana (se andava bene) il pallone veniva ingoiato dai flutti di Mar Grande.
  • Piazza Garibaldi non aveva un pseudonimo, ma alberi come porte, estensione pressoché illimitata, vecchiette ignare a rischio trauma cranico, grattini e affascinanti ghirigori in luogo del cerchio del centrocampo e delle aree di rigore.

La costante di tutti questi campi era l’assenza di porte vere e proprie, così come di aree di rigore, delimitazioni del terreno di gioco, ecc. Da ciò derivano varie conseguenze.

  • Porte fatte con indumenti, zaini e affini. Da qui, la regola delle regole. "Purtiè, occhie alle robbe!".
  • Dispute sui "gol - non gol" da fare impallidire il peggior Pistocchi:
  • Traverse di altezza variabile: essendo le porte delimitate semplicemente da cataste di robbe, la traversa era una linea puramente immaginaria. La cosa più divertente era che l'altezza della traversa variava a seconda della statura del portiere: quest'ultimo diceva "no vvid, è alto!" e alzando le mani dimostrava di non arrivare all'altezza dove il pallone era passato. Quindi, se il portiere, come spesso succedeva, era il più piccolo, la traversa virtuale era posta a circa un metro e mezzo di altezza.
  • Il palo-rete. Quante discussioni:

- "E' gol"
- "No, ... è palo!"
- "Sì, ma palo-rete!"

E il palo consisteva in una cartella, borsa, o pila di libri. E allora si prendeva il pallone con le mani, facendolo partire esattamente da dove proveniva il tiro e si simulava l'impatto con il palo immaginario.

E poi:

- "No,... è palo e pò ha trasut' n'camb."
- "No, ... u tir' purtav l'effetto"

E si ri-simulava il tutto facendo roteare il pallone fra le mani fino all'impatto.

E il bello era che molto si spesso tutti convenivano che effettivamente il pallone era "ad effetto", ed aver' trasut' n'port e si assegnava il gol. A mmeno che quaccheduno se ne usciva e diceva:

- "No... tenev' l'effetto condrario"

E si ri-simulava di nuovo il tutto:

- "Ha azzuppat' aqquà (sul palo immaginario), il palo è ovale, e quindi ha trasut' n' port'"
- "Sì,... vabbè, ma all' Salesian u' pal' è rotondo!"

E si ricominciava di nuovo il tutto....

  • O gol o rigore

      Regola che richiama vagamente la pratica medievale dell'ordalia (sottoporsi al giudizio divino attraverso una prova, ad esempio camminare sui carboni ardenti), potrebbe filosoficamente riconnettersi al "credo quia absurdum" ed essere riassunta come segue: t'hagghie futtute (e pertanto mi sono messo in una posizione di supremazia decisionale ma, per la pace della coscienza e visto che "u pallone è u' tue") se non sei d'accordo che è gol, almeno dammi il rigore. Astrattamente potrebbe essere sbagliato ma, secondo il calcolo delle probabilità è gol sicuro perchè "meng na sbunnata mocch o' purtiere ca se pigghie paure".

      Esembio pratico:

      - E' gol!
      - No! E' ffòr!

      (Segue accesa discussione)

      - Vabbè,... O gol.... o rigòr!
      - Sciam'n mè! A Madonna s' l'à da vedè!

      …e se il rigore veniva effettivamente trasformato, c'era sempre qualcuno che chiosava: "He vist' ch'era gol?!": il successo della prova era più attendibile di qualsiasi moviola…

      • Piripicchio

      Ovvero l'irregolarità commessa dal portiere che prendeva la palla colle mani fuori dall'area di rigore (naturalmente immaginaria…).

      L'etimologia di questo termine era sconosciuta ai più, ma NUX ci ha reso edotti attraverso un bellissimo racconto che vale la pena di riportare integralmente:

      Nei primi anni 50, ai tempi del mitico "Mazzola", quando a Taranto si viveva veramente di calcio, pallone, cozze e BIRRA RAFFO, quella vera , che si produceva dietro via Plateja e che quando passavi nelle vicinanze, solo l'odore ti ubriacava, un paio di ore prima della partita, un nugolo di ragazzini, me compreso, si presentavano al magazzino dello stadio, per prendere in spalla le transenne per l'entrata degli spettatori, (pesavano un accidente), quindi si portavano davanti agli ingressi, si sturavano con le mani i buchi nel terreno e le si fissavano.

      Così facendo si entrava gratis a vedere la partita.

      Allora i mezzi di trasporto erano le biciclette, quindi se si riusciva a prenotare una zona, prendevamo in custodia le bici, con la speranza che all'uscita qualcuno ci desse qualcosa (il massimo era 10 lire), proprio come i parcheggiatori moderni che si avvicinano e ti chiedono '' 'nu cafe' '' , altrimenti si entrava a vedere la Partita.

      Bene, mi sono rimaste impresse due espressioni dei tifosi più grandi.

      Una, a seguito di fallaccio, e qui la scrivo come veniva detto:

      CE STE' SCIUCAME A RUG BI!!! (gi dolce)

      E l'altra:

      ARBITRO, F'R'CHICCH !!

      Dall'espressione inglese FREE KICK. Quindi presumo che questa espressione abbia dato poi origine alla parola PIRIPICCHIO di cui in argomento.

       

      Diverso il discorso per gli "stadi" in campagna o in località di villeggiatura, che assumevano la dignità di "campetti". Lì asfalto, mattoni e brecciolino (prerogativa degli stadi di città) venivano sostituiti da: terra secca (capace di prendere le sembianze di biblico polverone dopo tre secondi dal calcio di inizio), sassi, radici di alberi (malignamente affioranti sulle fasce laterali), fili d’erba (non più di 10-15 per campo, e mai dopo i primi di giugno…) strane infiorescenze secche, rotonde e spinose che, provenienti da chissadove, sembravano posarsi esclusivamente sui campetti, e infine anche qui l’immancabile brecciolino, vero leit motif delle nostre infanzie e terrore delle nostre ginocchia. Una lista completa dei campetti potrebbe prolungarsi all’infinito. Ci limiteremo quindi a citarne due:

      • La batteria, sulla litoranea, a Gandoli, all’incrocio con Viale Kennedy. Il fascino della batteria sta nel suo nome (dovuto alle installazioni militari che si trovano nei suoi pressi) ed alla sua "visibilità": andando o tornando dalla villeggiatura si passava inevitabilmente da lì colla macchina: occhi invidiosi e avidi rubavano dai finestrini di dietro lo scampolo di azione che il rapido transitare dell’auto permetteva loro di scorgere. Il resto del tragitto era solo un sognarsi protagonisti nel mezzo di quel divino polverone.
      • Il Campetto di viale Monaco, a Talsano: anche chi non l’ha mai visto, dopo aver letto il romanzo di Massimo Stragapede, lo ha scelto come simbolo della pallastrada (pallastraga?) tarantina.

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