Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso mare
L'ha scritt Piergiorgio   
mercoledì 25 agosto 2004
Ogni anno insieme all'estate arrivano puntuali ed immancabili.
Non si tratta delle zanzare o delle angurie, parlo delle polemiche sulla pulizia delle spiagge.

La mia adolescenza è stata contrassegnata da lunghe villeggiature, che iniziavano a metà giugno, appena finita la scuola, e terminavano a metà settembre, a ridosso dell'inizio delle lezioni.

Forse per questa overdose passata, oggi il mare d'estate non mi attrae molto, o forse a non attrarmi non è il mare in sé, ma quello che bisogna subire prima, durante e dopo un tuffo tra le onde dello Ionio.

La situazione attuale è sotto gli occhi di tutti, e pertanto la riassumo giusto per la cronaca:

Una litoranea stretta e trafficatissima, senza guard-rail, senza carreggiate laterali, senza corsie d'emergenza, che si trasforma in un immane serpente metallico di autoveicoli in colonna nei due mesi di luglio e agosto.

Parcheggi inesistenti, se non qualcuno a pagamento, con la conseguenza di automobili abbandonate dove capita, spesso a rischio di insabbiamento, spesso ad intralciare il traffico sulla litoranea stessa, spesso rimosse coattamente non dai vigili urbani ma da bande di grattini che si occupano di assicurare il necessario turn-over dei mezzi in sosta.

Stabilimenti balneari che negli ultimi due anni hanno avuto una crescita esponenziale, sicuramente più rapida della qualità dei servizi offerti ma direttamente proporzionale alle tariffe applicate. Conseguenza evidente e logica, la riduzione delle spiagge libere, che si trovano a subire l'incontrollato assalto di bagnanti e vacanzieri che potrebbero a buon diritto aspirare al titolo di "ottava piaga d'Egitto".

Lanciarsi in peana di dolore o in furenti "j'accuse" serve a poco, stigmatizzare l'ovvio e l'evidente serve ad ancor meno, così mi limito a riportare una mia testimonianza personale, a beneficio di chi pensa che basti avere un bel mare per campare di turismo.

L'estate del 1999, nel settembre che già si preparava al temutissimo "millenium bug", grazie alla disponibilità di mio fratello, volai alla volta delle isole Baleari.

Il gruppo delle Baleari comprende delle isole che nel tempo hanno seguito linee di sviluppo assai diverse tra loro: Maiorca ospita il turismo V.I.P. e danaroso, Ibiza è destinata al divertimento no-stop, Formentera accoglie chi cerca un contatto con la natura stretto e tranquillo.

Il mare che le circonda e le spiagge che se segnano, per chi conosca "Montedarena", "Lido Silvana", il "Jamaica" o "lo striscione", non sono da perderci la testa; bel mare, belle spiaggie, ma niente di eccezionale, il che ha fatto campanilisticamente chiedere a qualcuno, in passato, "cè tene Formentera chiù de Tarde?".

Non il mare, non le spiagge, certo.

Il "plus" di queste isole, come di tante altre località a vocazione turistica, è chi di turismo ci campa perché ci vuole campare, di coloro che hanno capito che vivere di turismo significa essere tanto intelligenti e lungimiranti da allevare e curare l'albero di cui si vogliono godere periodicamente i frutti e non essere invece tanto ingordamente stupidi da abbatterlo per coglierli tutti "una tantum".

Ibiza, come detto, ha impostato la sua offerta sul divertimento giovanile, sviluppando una capacità ricettiva tale per cui un isola con circa 70.000 residenti ospita nell'arco di una stagione più di due milioni di turisti. Naturalmente questo richiede investimenti e programmazione a lunga scadenza, cose che non si possono realizzare dall'oggi al domani ma che, viceversa, vanno programmate e progettate con cura e per tempo.

Ma non è questo che mi stupì allora, quello che mi lasciò amareggiato fu visitare Formentera e trovare davanti agli occhi le spiagge di "Torre sgarrata", de "la Torretta" o di "Lido Checca" per come mio padre mi raccontava di averle vissute quaranta e passa anni fa.

Formentera è un isola dove non solo il turista, ma per certi aspetti anche il residente è più tollerato che gradito, è un isola che ha fatto della salvaguardia ambientale la sua vocazione, il suo punto di forza e il suo successo. E' un isola dove non si arriva con mezzi propri ma si utilizzano quelli disponibili a noleggio, e questi sono solo bici o ciclomomotori, vietate le auto. E le strade asfaltate dell'isola sono solo le due principali, quelle che la tagliano in lungo e in largo, le altre sono sterrate, poco più che polverosi sentieri.

Le dune sabbiose sono delimitate da un discreto ma evidente recinto realizzato con una grossa corda di canapa fissata a paletti di legno; niente di invalicabile volendolo fare, a patto di accettare la salata sanzione che ciò comporta.
Vietato cogliere fiori o estirpare piante che crescono sulla sabbia, vietato sporcare, vietato lasciare tracce di qualsiasi genere. Ed a vietarlo non ci sono solo i cartelli, non ci sono arcigni tutori dell'ordine in divisa: ci sono tutti coloro che vi stanno intorno, turisti e residenti, che hanno interesse che tutto rimanga così come è, ed a dissuadervi c'è soprattutto la pulizia che vi circonda, perché è facile sporcare dove è sporco, è più difficile sporcare dove è pulito.
Quelle dune, quelle piante sono le stesse del nostro litorale e che ancora, più o meno fortunosamente resistono. Qui si vogliono spianare le une ed estirpare le altre per allargare le strade ed ampliare i parcheggi, li sono custodite e protette come un bene prezioso ed unico.
Quale dei due modi di approcciare la situazione sia ad oggi vincente, economicamente remunerativo ed ecologicamente sostenibile è sotto gli occhi di tutti.
Allora basterebbe cacciare le macchine, svellere l'asfalto e radere al suolo le case costruite a pochi metri dal mare? Si e no, perché le case abusive, i rifiuti sparpagliati, l'aggressione selvaggia e spietata all'ambiente non sono cause ma effetti di una mentalità perversa e distruttiva, quella che fa pensare che "cì rrobba au cumune no' rrobba a nisciune", quella che fa rispondere con arroganza a chi viene rimpoverato per la sua inciviltà "ce jè u tue aqquà?", come se solo essere il legittimo proprietario di una pineta, di una spiaggia, di una scogliera, conceda il diritto/dovere di opporsi allo scempio vandalico perpetrato da incoscenti imbecilli.
E' una mentalità diffusa e perversa che si fa strada ovunque, da secoli, mortificando ed abbruttendo stupende zone della nostra terra, del nostro litorale e della nostra città e davanti alla quale spesso le istituzioni preposte al controllo ed alla repressione fanno il gioco delle tre scimmie che non vedono non sentono e non parlano, per connivenza, per mancanza di mezzi o per quieto vivere, visto che anche i vigili urbani "tengono famiglia".
E' passato un altro ferragosto e resti di falò e di capanne di canne sono lì a testimoniarlo, sulle spiagge ci sono più mozziconi di sigaretta che granelli di sabbia, molti bagnanti si sobbarcano ore di coda per fare pochi chilometri in auto ma non trovano la voglia di fare qualche metro a piedi per buttare le loro immondizie nei sia pur scarsi cestini e cassonetti disponibili.
Chi vuole un minimo di pulizia deve accettare di farsi salassare economicamente, stipato insieme a tanti altri negli stabilimenti balneari fioriti sulle nostre spiagge.
Ricordiamocelo e ricordiamolo a chi, nelle passate e prossime elezioni ci verrà a raccontare che il futuro di Taranto è nel turismo, chiediamoci e chiediamogli se questo futuro i tarantini lo vogliono e lo possono affrontare e gestire.
Oggi come oggi io sono obbiettivamente pessimista, pur sperando sempre di essere smentito. Ai posteri la poco ardua sentenza.

Ultimo aggiornamento ( venerdì 03 settembre 2004 )