Nu uecchie a’ jatta e nu uecchie alla frizzola
L'ha scritt Piergiorgio   
venerdì 27 agosto 2004
In occasione della celebrazione dei festeggiamenti a San Cataldo, il mio carissimo fratello aveva voluto usarmi la gentilezza di ospitarmi a bordo del suo cabinato a vela, al fine di consentirmi di seguire al meglio la tradizionale processione che, partendo dal duomo, si snoda poi attraverso la città vecchia.Dopo aver trascorso tutto il pomeriggio nelle acque del mar grande ed aver visto gli infuocati raggi del sole al tramonto cedere il passo al lattiginoso chiarore della luna, ci decidemmo per il rientro, in questo imitati da diversi altri natanti a vela ed a motore.
Approssimatici al molo "Sant'Eligio" mio fratello, che impugnava saldamente il timone, mi chiese di raggiungere la prua dopo aver preso il "mezzo marinaio" sottocoperta, in modo da afferrare la cima di attracco fissata ad un gavitello galleggiante e, nel contempo, per rilevare la presenza di eventuali ostacoli lungo la nostra rotta.
Vuoi per la scarsa visibilità, vuoi per il notevole traffico di imbarcazioni, la manovra si presentava oltremodo impegnativa richiedendo la mia massima attenzione così, quando Archibald emerse dal tambugio chiedendomi se gradissi come aperitivo uno spritz all'Aperol o al Campari, risposi frettolosamente: "None mò Archi, aqquà agghia tenè nu uecchie a' jatta e nu uecchie alla frizzola! (Non adesso Archibald, ora devo osservare con un occhio la gatta e con l'altro la padella).
Come è facile immaginare, la frase gettò il mio canuto maggiordomo nello sconcerto, non riuscendo questi a comprendere cosa c'entrava la gatta con l'approdo e la padella con l'aperitivo. Così, una volta assicurato l'ormeggio alle bitte sul pontile, chiesi al mio fraterno ospite di poter accedere alla piccola biblioteca che aveva realizzato sul suo yacht al fine di avere sempre sottomano qualcosa da leggere per vincere la noia dovuta alle lunghe ore di bonaccia durante la navigazione e, ottenutone il permesso, tra l'opera omnia di Ludlum e Follet, tra i romanzi di Eco ed i racconti di Garcia Marquez, tra i portolani rosi dalla salsedine e le carte nautiche solcate da linee tracciate a matita, trovai la autobiografia del famoso couturier Valentino Mapoifusce (Forlimpopoli, 1932 - Tumulti allo "Iacovone" a causa della mancata promozione del Taranto in serie B, 2002), assurto alla ribalta delle cronache mondane quando presentò la sua collezione primavera/estate 1960 facendo sfilare da "Tonino Citemmuert" le sue modelle abbigliate solamente con reti e nasse.
Il Mapoifusce evidenzia nelle sue memorie l'importanza della cura sia dei particolari che della immagine generale, considerando gli uni legati all'altra in maniera indissolubile. Per meglio esprimere il concetto, lo stilista impiega proprio l'espressione da me citata, fornendone poi una interessante quanto esaustiva spiegazione.
Il Mapoifusce non manca di evidenziare la notevole similitudine con un altro motto assai conosciuto, ovvero "Stè frisce u pesce e stè tremende 'a jatta" (à, vedi); il noto sarto spiega che entrambe le espressioni richiamano l'attività delle massaie che, nel friggere il pesce, tenevano contemporaneamente sotto controllo i gatti che gironzolavano intorno, attirati dall'odore del cibo ed in attesa di una buona occasione per poterne rubare un boccone ma, mentre "Stè frisce u pesce e stè tremende 'a jatta" lascia pensare che la cuoca destini tutta la sua attenzione al felino trascurando la cottura, il "nu uecchie a' jatta e nu uecchie alla frizzola" sottolinea come la attenzione debba invece essere contemporaneamente ed equamente condivisa.
In effetti, l'interpretazione di "Stè frisce u pesce e stè tremende 'a jatta" come esempio di mancata attenzione non è unanimemente accettata, ed altri studiosi si dichiarano niente affatto d'accordo con la interpretazione dello stilista, ritenendo le due espressioni sostanzialmente uguali; sia come sia, il Mapoifusce spiega che con "nu uecchie a' jatta e nu uecchie alla frizzola" si intende commentare la necessità di condurre una attività avendo cura di prevenire eventuali contrattempi che potrebbero ostacolarla o impedirla. In questa accezione il motto viene ad esempio impiegato in una vasta gamma di situazioni: dalla massaia che cerca la confezione di pasta più a buon mercato sugli scaffali dell'ipermercato controllando che nessuno le sottragga il carrello al gentiluomo tarantino che osserva in TV la telecronaca della partita della sua squadra del cuore mentre nel contempo cerca l'apribottiglie per stappare una "canadese" di Raffo, dall'adolescente che gioca come portiere in un improvvisato campetto di periferia che mentre studia le mosse degli avversari sorveglia anche che nessuno si freghi le biciclette poggiate ai bordi del rettangolo di gioco alla pulzella che mentre sta attenta a non far incappare i suoi tacchi a spillo in buche o crepe di un marciapiede disastrato fa si di non distanziare troppo lo spasimante che la segue lanciandole accorate profferte di amore eterno e di sesso subitaneo.
Come estensione, il motto si usa anche per sottolineare la necessità di dedicarsi contempo-raneamente a due attività parimenti importanti, ed anche in questa interpretazione il campo di impiego è assai vasto: dal giovane che mentre parcheggia l'auto in retromarcia sulla litoranea non perde di vista i torniti glutei di una bagnante in tanga che attende di raggiungere la spiaggia al giocatore di "tresette" che comunica al compagno con gesti concordati la giocata da fare mentre nel contempo guata la coppia avversaria per cercare di interpretarne i segnali, dalla sindaca del meridione che cerca di soddisfare la sua idea di grandeur cittadina conciliandola con le asfittiche casse comunali al direttore editoriale di un organo di informazione che cerca di garantire l'obbiettività del suo ruolo istituzionale con la necessità di compiacere coloro che possono assicurare elargizioni pubblicitarie e prebende varie.
Ultimo aggiornamento ( venerdì 27 agosto 2004 )