Mentre mi recavo fischiettano nella sauna ospitata nella zona fitness della mia umile dimora, sentii Archibald, il segaligno maggiordomo che mi ausilia nella conduzione domestica, rampognare aspramente uno dei domestici appena assunti. Richiestogli il motivo di tale reprimenda, egli mi disse che nonostante avesse più volte informato il giovane sottoposto del fatto che mai avesse prestato servizio come discente in alcuna scuola, pure questi continuava ad apostrofarlo con il titolo di "Mestre Archibald". Mi fu subito chiaro che il buon Archie ignorava la particolare gerarchia in uso a Taranto e mi risolsi ad illustrargliela al fine di migliorare la comunicazione tra lui ed il resto della servitù.
All’uopo ricorsi all’opera del francese Charles de Batz Montesquiou (Auch, 1611 - Harakiri con grammedda a seguito di delusione d’amore, 1673) detto “Tartagnam” per la sua mania di cibarsi di Chelonidi in brodo, che nel prezioso volume "Meste d’occhie, meste de capocchie" riporta le sue memorie di ufficiale medico nel corpo dei moschettieri del Re di Francia con la doppia specializzazione in oftalmologia e andrologia e traccia una precisa analisi dei termini impiegati a Taranto per la designazione degli appartenenti alle diverse classi sociali. Il Tartagnam afferma che alla posizione più bassa c'è “giovane”, con cui ci si rivolge di solito ad una persona ritenuta inferiore per età, esperienza e/o ceto sociale; in particolare si intendono "giovani" i ragazzi addetti al servizio al tavolo nei bar, i garzoni di barbieri e gli occasionali passanti con età stimata inferiore ai trent’anni a cui chiedere informazioni, sigarette o moneta spicciola.
Il gradino superiore a “giovane” è occupato da "cumbà", che viene contratto in “mbà” quando usato insieme al nome proprio della persona (mbà Antonio, mbà Filippo, ecc.). Aldilà della effettiva esistenza di un rapporto di "comparanza", il titolo è concesso a persona intima e di pari grado sociale oltre che a soggetto con cui non si abbia confidenza ma che si voglia adulare e/o accattivare per ottenerne benefici o vantaggi di diversa specie. Chi viene ritenuto di poco superiore come ceto, o chi si voglia compiacere senza eccessi e senza concedere intimità e confidenza viene apostrofato come "capo", che è uno dei termini più usati nei rapporti occasionali.
Superiore al "capo" è "mestro", che identifica persona di grande esperienza (vera, presunta o millantata) nel campo lavorativo (Mest'Antonio u ferrare) o persona di età abbastanza avanzata e quindi presumibilmente dotata di esperienza di vita. Viene usato anche in modo ironico per definire chi invece non ha assolutamente i requisiti per essere "mestro" ma si atteggia a tale (Ha parlate mestre sasizz! - a commento di una affermazione sussiegosa espressa da chi non ha voce in capitolo ma si vanta del contrario). Al gradino più alto c'è il "Don", persona che per età, esperienza o ceto sociale merita e gode di rispetto e deferenza. Come per "mestro" anche il "Don" viene concesso in senso ironico a chi si atteggia a tale senza averne i requisiti. |