Personaggi di quartiere
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Personaggi di Quartiere
Personaggi che si aggiravano per i vari quartieri i cui nomi o soprannomi venivano a far parte dell' immenso e straordinario vocabolario delle parolacce e insulti del tarantino medio.
- La Pompa-Pompa (Tamburi):
mai saputo il suo vero nome. Quando ero piccolo aveva gia' cira 40-50 anni. Nota prostituta non piu' in servizio (non ne ero certo). Alcuni bambini, non sapendo che fosse un soprannome la chiamavano Signora Pompa-Pompa. Spesso negli insulti il termine "figlia della Pompa-pompa" si sostituiva al termine "zilatona".
- Giuann Panocchia (Paolo VI):
Si aggira per Paolo VI imprecando contro tutti. Ha una giacca chiusa da una centinai di spille da balia anziche' da comuni bottoni, e porta sotto la giacca (e un po' dove puo') un numero esagerato di "chiangoni" che lui minaccia sempre di scagliarti addosso. Ha il viso molto deformato e tumefatto. Per quest'ultimo motivo chiunque si procura un normalissimo ematoma al viso diventa "Giuann Panocchia" per un po'.
- Francucch Mill-Lir (Tamburi):
Pace all'anima sua. Notisso spacciatore tossico-dipendete perennemente alla ricerca di soldi. La sua frase di battaglia era: "EH .. m' ah da' Mill-Lir!?". Se quindi qualcuno chiedeva soldi in prestito diventava automaticamente un "Francucch Mill-Lir".
- Cicc' u Gnur (Taranto-Vecchia):
Mio padre scherzando diceva che era parente del famoso attore Franco Nero. Io ero piccolo e un po' ci credevo.
Ridge di Beautiful!! Non c'entra niente lo so !!! Mia nonna non puo' fare a meno di distorcere i nomi di Beautiful, anzi Tittifull, come direbbe lei.
Essa merita sicuramente un posto nella agiografia della nostra città per aver contribuito alla iniziazione di innumerevoli adolescenti ai piaceri della vita e per aver offerto ai tanti stranieri una visione assai accogliente della nostra città. Non era solo un rapporto mercenario; se così fosse stato, il nome di Cinzella non sarebbe ancora oggi ricordato con affetto e nostalgia da tutti coloro che, ebbero a condividere con lei l'estasi sensuale del rapporto con l'eterno femminino.... no, Cinzella era la suprema sacerdotessa di un dionisiaco rito pagano, come la Bocca di rosa di Deandreiana memoria lei metteva nella sua opera un impegno ed una passione degna di miglior causa, tali da farla quasi diventare un simbolo, un icona, un limite a cui molte oggi asintoticamente tendono.
A noi che la conoscemmo non resta che rimembrare quelle sensazioni, che non erano ancora amore ma non erano solo sesso e rimpiangerla con nostalgia, come per la bottiglia di Raffo collo corto.
come Cinzella ma meno popolare
Periodo di riferimento:anni 60/70, Soprannome:Timo
Il personaggio era solito passeggiare per via D'Aquino, ogni volta che incontrava nu piccione, gli dicevano:"Uè Timò, falle vedè a pizz'..", E Timo faceva finta di niente, fino a quando non arrivava alla SEM, si abbassava i 'pantaloni, per mostrare la pizz, lucculando:"Awwandate, Awwansate tutt'cose..".Da cui Il soprannome:"Timo falle vedè a pizz!!!" Si racconta che ogni volta che il gestore della Sem lo vedeva avvicinarsi gli prendeva un colpo!
Anni '30/40. Venne definito "spustate" perchè, in pieno solleone, oleva indossare tutto il guardaroba invernale contemporaneamente. Asseriva che la sorella fosse stata l'amante del duce e che lo avesse cornificato a gogò. I più sostenevano che fosse affatto savio e
che si fingesse "falueteche" per poter criticare il regime senza incorrere in ritorsioni.
Anni '50. Appartenente a quella che in altri tempi si sarebbe definita una "buona famiglia",circolava con le tasche gonfie i "stacchie" che lanciava "alle panareddere" che , da debita istanza data la mira micidiale di Attilio, gli indirizzavano feroci sfottò. Si esibiva spesso,se richiesto con modi gentili e dietro modestissimi compensi, nel salto mortale dal bordo del marciapiede al
sedime stradale.
Anni '50. Frequentava le zone adiacenti la piazza Marconi ed aveva una straordinaria somiglianza, per le dimensioni delle pedagne, per la postura in generale e per la mitezza del carattere (almeno cu nuije sculacchiatidde), con il personaggio disneyano di Pippo. Aveva in effetti l'abitudine di spernacchiare, su richiesta, proprio come se dovesse soffiare in un trombone.
Batteva solitamente l'asse Di Palma, Giordano Bruno, D'aquino rasentando i muri degli stabili, ai quali si appoggiava ogni tre passi circa, esibendosi in fantasmagoriche iaculatorie (arte in cui raggiungeva livelli di virtuosismo mpareggiabile) a causa di un doloroso valgismo alle estremità nferiori (le cepodde 'nzomme)che lo costringeva a strascicare, entopede, gli smisurati fettoni .
CICCE CAURE
Era nel suo genere un artista sopraffino. La sua arte consisteva nell’ eseguire con il sedere “arie” celebri. CICCE CAURE era un petomane e le sue esibizioni sonore gli servivano a raccogliere qualche spicciolo per tirare a campare. Famosissima la frase che lo rese famoso: “PICCE’ LE SOLDE AIJERE JEVENE VIJANCHE E OSCE SO’ GNURE?” (perche’ i soldi ieri erano bianchi e adesso sono scuri?) riferendosi al fatto che ignoti gli avevano sostituito le monete d’oro, guadagnate con la sua arte, con volgari monete di ferro e quindi di un colore piu’ scuro. Usavano sfotterlo con la frase “CICCE CAURE, PAGNOCCHELE ‘NGULE!"
Martin' U' Pacc'
Siamo intorno agli anni 85/86, zona via Duca degli Abruzzi in fondo verso il lungomare quasi di fronte all'attuale Nautilus (si chiama ancora così?)
Era leggenda diffusa tra i ragazzini di quel periodo in quella zona; praticamente costui doveva essere una persona abbastanza anziana cù a capa bombe bombe e non tanto normale; la leggenda narra che si aggirava al calare della sera in quella zona verso il lungomare, quando vedeva i ragazzini li chiamava offrendo loro dolci e caramelle (classico!) e poi diceva di volerli portare giù sul lungomare dove aveva una casa costruita in legno e chissà quali orribili nefandezze accadevano!!
Si narra che una volta avvicinò un gruppetto di ragazzi (un pò più grandi di noi) e questi, riconosciutolo, lo "caricarono" di pietre in testa: inutile dire che divennero i nostri idoli e quando si avvicinava la sera si preferiva giocare "nei dintorni" dove erano loro.
GASPARE
Abito blu, perfetto. Scarpe bianche; pettinatissimo. Sfilava per le vie del centro come fosse in passerella.
Capo dritto e sguardo fisso in avanti. Al massimo gli occhi, si concedevano, faticosamente, deviazioni laterali per scrutare……. Un manichino insomma.
La mano destra, sempre in tasca faceva da fulcro al braccio, che in prossimità di qualche dolce curva femminile, a mò di ala, si apriva imperioso e nel contempo speranzoso, di affondarsi tra le rotondità piu’ prossime.
Gaspare era ‘NU RATTUSE!
La Fissità del suo sguardo derivava anche da una sua costante preoccupazione: ‘U PERNACCHIE.
Cioè quando il suo passo incrociava quello di alcuni PANARIJDDE, si levava forte da questi un sonoro: GASPAREEEEEEEEEEEEE? PRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR! Che interrompeva il silenzio della via.
GASPARE, non di buona corporatura, a volte, giusto per far valere il suo orgoglio, pubblicamente ferito, affrontava lo “ spernacchiante” con un virile: T’HAGGHIA FA’ DA’ MAZZATE!, demandando evidentemente a terzi piu' abili, la tenzone.
Veniamo alla sua frase storica.:EHI! CA’ ‘NA MANE HAGGHIE MENATE!
…Siamo in un cinema, una coppia amoreggia, il Nostro, con un’abile mossa di avvicinamento, si siede al fianco della donna, e approfittando della concitazione, le infila una mano sotto la gonna.
Intanto, il ragazzo della stessa, intento nella stessa manovra, casualmente, ravanando tra le eburnee colline, incrocia con le sue mani quelle del Nostro.
Bah! CE' SUCCEDIJEEEEEEEEE! Il giovane si alzo’ di scatto, sollevò di peso il GASPARE e lo “crepentò” letteralmente di mazzate, lasciandolo esanime sul pavimento.
Al suo risveglio, esclamo’ la storica frase di cui sopra!
BIACOCCHE
A Taranto per indicare ancora una persona un pò svanita si usa dire, appunto, BIACOCCHE.
Il Nostro, era solito ubriacarsi con una frequenza impressionante che unita alla sua dabbenaggine lo trasformava in una macchietta irresistibile.
Si racconta che, una volta, a causa dell'ingestione di fagioli poco cotti, venne colto da dolori cosi' lancinanti che lo condussero alla convinzione che la sua ora fosse ormai suonata.
Allora si recò al camposanto e si infilò in una fossa, continuando a lamentarsi per i dolori addominali, tanto da attirare l'attenzione del guardiano, il quale, palesemente spaventato, si avvicinò alla fossa urlando: CHI E'?
BIACOCCHE credendosi gia' morto, gli rispose: CE' TE STE' 'NGAZZE? JE, SO' L'ANEME DE BIACOCCHE!
suscitando la legittima ira del guardiano che per un pelo non lo ammazzava davvero.
MARCHE POLLE
MARCHE POLLE, ritengo sia il piu’ importante tra i personaggi di Taranto.
AMEDEO ORLOLLA di Giovanni e Angela Portulano è nato a Taranto il 27 Agosto del 1895 ed è passato a miglior vita il 12 gennaio del 1982.
Chi non lo conosceva?
Il suo soprannome derivava dal fatto che il padre fosse imbarcato sulla nave MARCO POLO, le cui gesta, Amedeo, non si stancava mai di narrare.
Svolse i lavori piu’ umili, dal garzone di fornai e carbonai, a venditore di girandole colorate. Ma l’immagine che io ho di lui è quella che lo vedeva col suo mitico berretto da panarijdde cresciuto, la giacca, un paio di misure piu’ larga e pendente da un fianco, l’immancabile sigaretta tra le dita che raccoglievano un “ammuzzo” di buste gialle contenenti delle schedine della SISAL, gia’ compilate, che vendeva ai passanti.
La sua frase storica era: ‘A VUE’ MO? (la vuoi adesso?) accompagnato dal suo dolce e impertinente sorriso “sgangate”, e che sottolineava l’evidente doppio senso della stessa, specialmente se espressa in presenza di una donna. MARCHE POLLE era amato da tutti, e chi lo incontrava per strada, specialmente negli anni della sua vecchiaia (ha venduto schedine fino a 80 anni) lo prendeva sottobraccio e piano piano lo portava nel bar piu’ vicino per offrirgli da bere o qualche sigaretta.
Era il sorriso della città. Un’altra sua frase celebre era: APPUENDETE ‘NNANDE! (abbottonati avanti) accompagnata da un gesto che induceva il malcapitato a dare un’occhiata alla braghetta del suo pantalone presumibilmente aperta.
Ovviamente, nel 90% dei casi la braghetta era chiusa e la cosa si risolveva con un sorriso rompighiaccio che lasciava spazio alla proposta di vendita ufficiale:A VUE’ MO?.....'A BUSTE?
Al funerale di Amedeo, nella chiesa di San Francesco da Paola, partecipo’ tutta Taranto che accompagno’ la sua ultima passeggiata per la città tra le note delle marce funebri della Settimana Santa.
Al cimitero San Brunone, dove è sepolto in una cappella comunale, dinnanzi alla sua foto si trovano immancabilmente delle sigarette che i passanti lasciano teneramente.
PEPP' A RACCHIA
Si raccontava di lui che fosse sposato e con figli, poi una volta separato dalla moglie decise di dare appieno la sua effeminita’.
Abitante nella Citta’ Vecchia, ma assiduo passeggiatore nelle vie centrali di Taranto, sempre molto elegante e distinto, ostentava il suo essere con disinvoltura, ma senza escandescenze particolari, molto rispettoso e rispettato.
Nonche’ frequentatore di cinema “under ground” dove cercava di recuperare qualche preda atta a garantirgli le ore liete serali.
Si suppone portasse una parrucca dai capelli lunghi e riccioluti, ma non era molto rilevante la lunghezza dei capelli, d’altronde era il periodo dei capelloni, ma di sicuro il termine “ a’ racchia “ derivava dalla sua ... diciamo cosi’ ... non bellezza.
Famosa era la battuta che girava tra i maschietti dell’epoca che se a qualcuno veniva l’infelice idea, per gioco chiaramente, di dare la manata sul culo di qualche amico, riceveva per risposta un: "ce’ssi’ Pepp’a’ racchia? ... a’ ce’ cinema a’ sce’? "
La battuta era data scherzosamente ad intendere di sapere ove andasse lui, in modo da evitare di visitare lo stesso cinema.
Una volta ci capito’ di incrociarlo sul Ponte Girevole, era diretto verso il centro e noi verso la Citta’ Vecchia, ... eravamo io e Michele (uno dei miei soliti inseparabili amici) su di un Motobecane sfiaccatissimo che a stento riusciva a trasportarci ...
proprio sulla parte in salita del ponte ... beh, ... Michele ebbe l’infelice idea di gridare le testuali parole: “ Ue’ Pepp’a’ racchia ... a’ ce’ cinema a’ sce’? ...” ...
Ci fu’ una specie di inseguimento ... lui correndo dietro di noi fingendo di volerci acchiappare, ... Michele che pressava sui pedali del motorino per aumentarne la velocita’, io alla guida che a gambe divaricate cercava di mantenere l’equilibrio ... dietro di noi la sua voce effeminata che strillava ... " ce’ v’azzecche ... v’hagghija da’ mazzate! “ ....
PURGENELLE
PURGENELLE lo traggo da un libro di Nicola Caputo, Investivamo alla marinara.
Vestito da Pulcinella metteva in mostra la sua arte all’angolo di via Crispi con via Di Palma, il suo nome era SAMUELE e quello del suo compagno di scena, un vispo cagnolino, era FASULINE.
La coppia SAMUELE e FASULINE rallegrava i passanti, che gli offrivano qualche spicciolo.
Lui scimmiottando Pulcinella e il cagnolino facendo acrobazie spericolate che andavano ben oltre il camminare tenendosi dritto sulle zampe posteriori.
I suoi spettatori piu’ assidui erano i militari in libera uscita e i panarijdde.
Di SAMUELE e FASULINE parla anche GIACINTO PELUSO che lo ambienta pero’ nella città vecchia e lo raffigura con una bombetta che ci fa pensare ad un personaggio differente dal Pulcinella. Lo stesso ci informa che SAMUELE trasferì al borgo il suo spettacolo in quanto in quel periodo il boom dell’arsenale militare lo faceva sperare in migliori guadagni.
SAMUELE fini’ a chiedere l’elemosina.
Ancora oggi, a Taranto, per sottolineare la stretta amicizia tra due persone si usa dire: FA CA SITE, SAMUELE e FASULINE!
PIPIELE: era conosciuto per la sua non eccelsa intelligenza che faceva il paio con una personalità sempliciotta. Il suo mestiere era
'U CITREDDARE, cioè coltivava le ostriche nei citri presenti nel nostro mare.
Era riuscito a fidanzarsi; e da quel giorno, girava per la città "
lucculando" PURE JE TENGHE 'A ZITE!Un giorno la sua "
zita" gli preparo' una focaccia che lo stesso portò sul posto di lavoro. I compagni, per scherzo gliela fecero sparire e da questo episodio nacque una canzoncina, come ci racconta Enzo Risolvo:
PIPIELE 'U CITREDDARE.
FATIAVE A LE CITREDDE;
IND'U VICHE D'U SPIRETE SANDE
SE TRUVO' 'NA CARA AMANDE;
'A ZITE L'HA CHIAMATE,
E L'HA DATE 'NA CAZZATE;
JEVE CARECHE DE LUATE,
E ALL'AMICHE L'HA MUSTRATE,
CA SE L'HONNE PO' MANGIATE!
(Pipiele che lavorava nei citri;
Nel vicolo dello Spirito Santo,
trovo' un' amante.
Lei lo chiamo' e gli diede una focaccia;
che era piena di lievito,
e che agli amici lui mostro'
i quali, poi se la mangiarono)
U' NEGUS: Vecchio birbante, girovago con il suo pendolio a gambe divaricate, ciccione di “birra Raffo” sua prediletta compagna.
Raccoglieva di tutto, trovato molte volte immerso nei cassonetti dei rifiuti a recuperare qualcosa che per lui ...
“po’ sembre servi’ ...”Vestito sempre da quattro stracci altamente impuzzoliti, era “ospitato” gentilmente nel giardino delle palazzine della Marina Militare di Via Magnaghi, ove per casa aveva un rottame di macchina abbandonata da qualche inquilino, e li’ aveva fatto sorgere, nell’angolo piu’ remoto del giardino stesso, una sorta di capanna con teloni a proteggersi dal sole o dalla pioggia.
Dalla voce stridula, molto scuro di carnagione, cu’ na capa grossa grossa.
Giorovagava tra le traverse di via Magnaghi e via Cugini, via Messina e Battisti, ma tutto limitato tra via Millo e via Quinto Ennio, e sovente bazzicava a Piazza Icco per racimolare qualcosa da mangiare.
Famosa la sua battuta nel passare tra i vari locali delle attivita’ artigianali e non, chiedendo:
“t’avanze quaccheccose?” (ti avanza qualcosa?) in modo tale che la sua disponibilita’ nel ripulire da cose inutili, gli garantisse la sua Raffozza da portarsi a passeggio in bella mostra mentre la sorseggiava.
FENANICCHIE: "Va tagghiete le capidde ca' pare Fenanicchie" è un'espressione che sta ad indicare che i capelli hanno ormai raggiunto una lunghezza tale da rendere necessario l'intervento del barbiere.
Ma veniamo al nostro. FENANICCHIE era un fabbro di nome Angelo che spesso e volentieri alzava il gomito. Ma era conosciuto per un'altra sua caratteristica cioè per i suoi lunghi capelli neri che trattava con ossessiva cura.
Motivo di questo suo narcisismo era la convinzione che la sua scura capigliatura potesse fargli conquistare il cuore di qualche donna bella ma principalmente ricca.
Ma lo scorrere inesorabile del tempo non faceva altro che far sfiorire la bellezza della sua criniera e con essa il suo sogno d'amore.
La bottiglia diventava sempre piu' la sua inseparabile compagna e le "panareddere" (ca no' lassavane de pede a nisciune) lo esortavano ormai da tempo a rinunciare alla ricerca del ricco matrimonio dicendo: "Capacete Fenanicchie, no' jè pe tè!"
Fenanicchie invece continuava a curare la sua capigliatura ormai ingrigita con ostinazione fino al momento in cui decise di arrendersi definitivamente all'evidenza esclamando la frase: "S'ha capacetate Fenanicchie"
Il motto finale viene ancora usato oggi, per far mettere l'anima in pace a chi cerca di ottenere ad ogni costo un risultato che non potrà ormai piu' ottenere spronandolo nel contempo ad accettare con rassegnazione la dura realtà.