PlayTaras A cura di Antonio "Nux" Spina Con contributi di Tonino "Gesucristo" Caso e Michele "Ajatta" Picardi Tempi di oggi, tempi di PlayStation….scuriscimiento elettronico dell'industria dei 'media', finto divertimento per persone sole ca studichiscene pe passa' u tiembe, e peggio ancora se sono bambini. A loro e ai loro genitori proponiamo i giochi che una volta si facevano per le strade di Taranto: rigorosamente in strada o nei cortili delle case, che non erano ancora invasi dall'asfalto e dalle macchine. In quegli spazi sporchi aperti e pieni di luce ci si trovava in gruppi a imparare in fretta il linguaggio cozzaro, a menare mazzate e soprattutto prenderle. Alla fine nessun rimpianto: evitiamo solo di perdere la memoria, perche' quegli spazi, quella polvere, quei giochi servono ancora….
MANUE' ZZOZZO' Si giocava per strada a ridosso di muretti o appoggiati ad un muro. Il numero dei partecipanti doveva essere il più alto possibile. Si iniziava con il solito TUEKKE con tutti i partecipanti a giro, quindi i compagni venivano SKACCHIATI in modo alternato e, coloro che uscivano dalla conta S'AVER-N 'A METT-R SOTTE piegati in avanti, UNE 'NGULE ALL'OTRE. A seconda dei partecipanti, si potevano creare delle code lunghe anche una diecina di metri. 'U PRIME CHIUMME iniziava quindi a saltare in groppa ALLE SOTTE con una lunga rincorsa, in modo da potersi sistemare il più avanti possibile. E così via sino a che tutti I CHIUMMI si erano posizionati sopra. A questo punto iniziava la gara, quelli di sopra, abbrancati uno con l'altro, per non cadere, gridavano MANUE' ZOZZO', pes'u chiumme si 'o no?! E quelli di sotto, se riuscivano a sopportare il peso rispondevano NONE! Si andava avanti così sino a quando o quelli di sotto SCUNUCCHIAVENE e quindi dovevano risopportare 'U CHIUMME oppure quelli di sopra non riuscivano a mantenersi in equilibrio e bastava che uno solo toccasse terra con un piede, che le parti si invertivano. Un gioco molto semplice ma a volte faticoso. GIOCO DELLA "LIVORIA" E' un gioco pare importato dagli Spagnoli verso il 1400. A Taranto si è giocato sino agli inizi degli anni 50, quando vi erano ancora alcuni spazi non bitumati. Si gioca in due o multiplo di due e gli attrezzi sono: Doje padde d'acciaje (il peso ottimale è 250 gr.) Doje palette de faggje A scigghie. La paletta è a forma di mannaja di macellaio (quella per rompere le ossa), consumata alla base dalla parte interna, in modo che si possa piegare per poter bene spingere a palle de fijrre nelle varie fasi del gioco che spiegherò più avanti. A scigghie , di ferro, è a forma di anello, saldato su un punteruolo pure di ferro, lungo almeno 10 cm, che serve per inchiodarlo a terra.. Da un lato è crociato molto fitto e si chiama a vocche (la bocca) e serve per l'entrata della palla, ppe' fa le punte, il lato opposto è poco crociato ed è la parte ""sudicia"", u cule, per cui se la palla entra, si perde un punto. La stessa si infila nella terra che deve essere abbastanza dura. Naturalmente così facendo a scigghie non girerebbe liberamente, quindi una volta infilata, la si estrae e se mene 'n'a sputacckhie nel buco per renderlo lubrificato. Infatti reinfilato il cuneo nel terreno e dando un bel colpo al lato dell'anello, questo gira come una trottola.
Si gioca su un terreno abbastanza liscio, a tawule, (tavola) e, dopo aver fissato il punteggio necessario alla vittoria, solitamente a 21 punti, il gioco inizia con il solito tuekche e il primo designato a lanciare la palla che deve essere appoggiata sulla paletta e tenuta con il pollice, disegnata una striscia a circa 15 metri dall'anello e che delimita l'area di gioco, a menata, lancia la palla in direzione dell'anello con l'intento di farla entrare subito attraverso l'apertura pronunciando la frase di rito:
ponn' ije e vinghe a partite. Nel senso che se la palla entra direttamente nel 'a scigghie la partita è vinta.
Se la palla non è entrata nell'anello, tira il secondo, pronunciando a sua volta la frase : ponn'ije e n'agghie doiie , quindi se la palla entra, il tiratore guadagna due punti. A questo punto a turno si cerca di far entrare la bilia nell'anello, usando i vari sistemi. Se la palla dell'avversario dà fastidio allora con la propria palla si cerca di allontanarla, spesso si fa nascondere la propria palla all'occhio dell'avversario con la bravura dettata dall'esperienza di gioco, per cui bisogna giocare list' (svelti) con piccoli tocchi, senza accompagnare la palla con la paletta.
I giocatori provetti, sono in grado di colpire la palla dell'avversario, quando questa si trova oltre l'anello . Il nacc'hr' consiste in colpetto che allontana la palla avversaria dall'anello, quando si riesce a spostare la palla dell'avversario dall'anello, facendo prendere il posto alla propria allora si dice nacc'hr e punte.
Quando la palla riesce ad entrare nel cilindro si segna un punto. Se capita che la palla dell'avversario sia ad una distanza ottimale (10 o 20 centimetri) in direzione della menata, allora si batte il cave, cioè spingendo la propria palla su quella dell'avversario, con una certa potenza, si cerca di farla arrivare oltre la linea di partenza con la dicitura cave, ci mandene è fatte. ('cave' dal latino ' guardati ') io tiro, se la palla viene toccata durante il percorso io realizzo lo stesso il punteggio (due punti). Se invece va tutto liscio e la palla oltrepassa la linea vi sono i due punti regolamentari. Se la palla entra dalla parte sudicia, l'avversario pronuncia: cule, per cui si perde un punto e non si può fare altro che farla rientrare dalla vocche pronunciando. Pesc'cule. Può capitare che durante il gioco una palla si trovi adiacente alla scigghije e chi deve tirare, ha la palla immediatamente poco distante, e in direzione della menata il giocatore che deve spingere la palla dell'avversario con il cave prende la mira e dice: cave da 'ngule tre punte puppù quindi tira, se la palla dell'avversario esce dalla menata allora si realizzano i tre punti, anche se la propria palla entra da cule.
Se durante il gioco la palla viene toccata da qualcuno, l'avversario pronuncia la frase nno' ppue' caca' significando che non si può fare alcun gioco, ma solo ritoccare la palla con la paletta pronunciando la frase pozze piscia'. Esiste una fase chiamata Scippe Carduccie. C'entra in questo qualche antenato della famiglia patrizia dei Carducci, forse poco esperto giocatore, che mirando al passaggio della palla nell'anello, urtava contro la semicirconferenza del ferro e cambiava la posizione della vocche, che restava così sino al colpo di raddrizzamento. Durante il giuoco esiste la fase di licenze d'a muscetìje (permesso di pulire il terreno avanti la palla, durante il suo cammino.
Alcune espressioni che sono rimaste:
C'entre padd' palétte e livorie (dicesi di oggetto molto largo) E' cave de 'na palette (qualcosa di facile comprensione) Sciucame list' (siamo sinceri)
'U SPEZZIDDE
U' spezzidde, il cui nome credo, ma mi posso sbagliare, dovrebbe la propria origine dal pezzettino di legno levigato a barchetta biconvessa che diveniva per la forma assunta facilmente elevabile in aria dall'apposito legno lungo impugnato ed usato dal giocatore, che prima batteva verso terra appunto lo spezzidde e una volta fattolo roteare per aria tentava di colpire al volo il legnetto tentando di dargli la voluta direzione. Doveva essere un gioco per bimbi, in quanto ricordo che gli adulti, quando volevano togliersi di torno un bambino, gli dicevano, con aria di superiorità e supponenza: Và sciueche o' spezzidde.
'U TURNIJDDE
Si giocava su terra battuta. Prima di tutto si disegnava il cerchio ('u turnijdde) appunto. Ci si piantava col tacco della scarpa sulla terra, e con una monetina di dieci lire (tanto era apunto l'importo con cui si giocava) stretta tra indice e pollice e pressata sul lato sinistro della scarpa, dalla parte delle dita, si faceva una torsione a 180 gradi, e la bravura era appunto a disegnare nu' turnijdde 'a mestiere. Si faceva il solito "tueccke" e a turno si cercava di lanciare la monetina da dieci lire nel cerchio o quanto più vicino al diametro dello stesso. Il lancio della monetina era una vera professionalità. Si piegavano le dita in modo che il pollice toccasse il medio (potete provare a farlo), quindi si inseriva la moneta che poggiava sul medio ma veniva compressa dal pollice verso l'indice, quindi con un gesto da mestre si sganciava il pollice a mo' di molla lanciando la moneta verso 'u turnijdde. Chi entrava nel cerchio e quindi chi andava più vicino al centro o se nessuno entrava nel cerchio, toccava a chi arrivava più vicino alla circonferenza a spuzzta'. Allora, chi nel cerchio era più vicino al centro, già prendeva tutte le altre monetine all'interno, quindi cu 'nu tippte cercava di fare entrare le monete dentro, le quali diventavano sue, altrimenti la mano passava al secondo e così via.
'U SCIUEKE DA' STACCH(E) Gli attrezzi erano 'a stacch appunto che era un pezzo di marmo più o meno rotondo dai 10 ai 12 cm diametro; un altro pezzo di marmo a forma di parallelepipedo avente una altezza di 5-6 cm chiamato boccino. Si poneva il boccino ad una distanza di 10-15 metri. Si posavano sul boccino a mo' di pila i soldi che si decideva di puntare, tanto a testa (si parla di monete da cinque o dieci lire), si faceva il solito tuekke e si tirava a turno. Ovviamente ci voleva maestria nel tirare, in quanto si doveva colpire il boccino cercando di far cadere le monete il più vicino possibile alla propria stacchia (questa volta lo dico in ITALIANO) senza farla rotolare, per cui i più bravi la forgiavano a mo' di pera e quindi la stessa strisciava bene sulla terra battuta. Come il gioco delle bocce, chi seguiva nel tirare cercava di scostare le stacce degli altri in modo di avvicinarsi ai soldi già caduti per terra. Quando tutti avevano finito di tirare ognuno prendeva le monete più vicine al proprio strumento. E si continuava sino a che non si finivano i soldi. Inutile dire che io modestamente non perdevo mai…. U CURRUCHELE (CURRUK'L) Michele Picardi Negli anni 50 quando a Taranto le macchine che circolavano erano poche e per sostare si aveva a disposizione tutto il marciapiede da un angolo all'altro, i ragazzi facevano largo uso di questa trottola con grande abilita'. Il gioco consisteva nel far girare con una corda che se non sbaglio si chiamava "cuenze" u proprie curruk'l , prenderlo sul palmo della mano mentre girava, colpire il curruk'l dell'avversario che stava sotto e cercare di spingerlo verso il marciapiede opposto, se il proprio curruk'l si fermava,"squaquagliava'' prima di aver colpito l'avversario si andava sotto, chi rimaneva sotto alla fine del gioco pagava la puntata che consisteva in un certo numero di "azzugnate" colpi dati sul curruk'l del perdente con la punta di ferro del proprio . Grande soddisfazione era per i giocatori vincenti riuscire a spaccare u curruk'l del perdente. Generalmente ogni giocatore aveva tre tipi di curruk'l, uno di faggio perfettamente bilanciato per girare con la massima cura era quello che si usava per giocare piu costoso di quelli per ricevere l' azzugnate di legno piu tenero, c'era poi u curruk'l per dare i colpi al quale si modificava il ferro per renderlo piu micidiale nel dare l'azzugnate.
Cari amici stasera sono tornato indietro di piu' di quasi mezzo secolo quando tiro il mio vecchio currucolo di faggio per i miei nipoti abili giocatori di videogame e lo prendo sul palmo della mano mi guardano stupiti e ammirati quasi che fossi un giocoliere. Quando poi me lo passo da una mano all'altra senza farlo fermare, allora poi vogliono provare ma e' difficile l'arte del lancio du curruk'l, e se non si e' fatta la gavetta nelle strade du borgo facendo attenzione che la trottola non finisse ind' a nu chiusine o mienz a cacate de cavalle, ed e' certamente difficile farlo girare correttamente. U ZIPPERE Michele Picardi Quando le vie del borgo non erano invase dalle automobili e le panarijdde erane le padrune da vie dopo le giornate di pioggia si era soliti fare un vecchio gioco che credo, (se la mia memoria ormai in disarmo non mi tradisce) s'annumnave " U ZIPPERE"
Perche' dopo le giornate di pioggia? Perche' il luogo della disputa che si giocava tra vari ragazzi era il cerchio di terra umida e cretosa che veniva lasciato libero dagli alberi mancanti nelle strade di Taranto. Io ci giocavo in Via Dante.
Lo strumento del gioco era una grossa lima da fabbro o una vecchia raspa da falegname, scopo del gioco era quello di conficcare la lima nella terra umida facendola appoggiare su varie parti del corpo e da quel punto farla piroettare e conficcare nella terra; si cominciava dalle dita della mano e poi si passava alle parti del braccio, gomito, spalle e altre parti del corpo, bisognava avere una buona abilita' e allenamento.
Chi sbagliava non facendo conficcare la lima passava la mano e nel prossimo giro doveva ricominciare, chi invece concludeva per primo il gioco si autoescludeva e aspettava chi rimaneva piu' indietro nelle varie mosse; il perdente del gioco era quello rimasto indietro che non aveva concluso le varie mosse. Questi doveva pagare una penitenza che consisteva nell'estrazione con la bocca e i denti di un ramoscello di legno che tutti i vincitori conficcavano nella terra del cerchio; va da se' che tutti cercavano di conficcare "U ZIPPERE" il piu' possibile per dare modo al perdente di assaporare la terra .
Non mancava naturalmente da parte dei piu' dispettosi na "scrafagnata" sulla testa del malcapitato per fargli gustare meglio la terra, e allora poi la rissa era certa.
Scusate se mi sono sbagliato nella descrizione o nel titolo del gioco ma purtroppo non lo pratico piu da circa 50 anni. Mi piacerebbe vedere se non ho perso la mano….. ;-))
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- L(E) SETT BUCH(E)
O 30cm O O
O
O O O
Sempre su terra battuta, si scavavano sette buche come nel disegno, aventi un diametro di 10/15 cm. Ogni giocatore (7) si posizionava dietro una buca ed un ottavo " A MAMMA" era incaricato far scorrere una "pall de pezze" (che si costruiva con carta avvolta in calze vecchie, con un procedimento tutto particolare) in una di dette buche. " 'U padrune " della buca ove la palla entrava doveva immediatamente "pigghià a pall" e cercare di colpire uno dei rimanenti sei che nel frattempo correvano via velocemente. Chi veniva colpito doveva a sua volta raccoglierla e cercare di colpire un altro, e così via sino a quando non si sbagliava. Chi non riusciva a "accogghiere nisciune" veniva penalizzato da 'a mamma che metteva un sassolino nella sua buca. Si andava avanti così sino a quando " nu' padrune nno' teneva 'a buca chiene de sette petre " quindi diventava " 'u sotte " Ovviamente quando qualcuno già aveva tre o quattro "petre" nella buca si faceva il gioco di squadra con passaggi "da nu padrune all'otre" sino a colpire quel disgraziato il quale faceva di tutto per non prendere altri colpi. Finito il gioco, si bagnava " a palle de pezze " e, se c'era acqua bene, altrimenti si usava " altro liquido" e ognuno era autorizzato a colpire "'u sotte ca se metteve appuggiate 'a nu mure cu 'a spadd 'anuda " sette volte meno le pietre della propria buca. Se qualcuno colpiva " 'u sotte " alla testa, veniva punito diventando a sua volta "sotte", con il doppio dei colpi rimasti ad ognuno, e così via sino ad esaurimento dei colpi. Ovviamente il furbetto che mirava basso, per non colpire la nuca, se non colpiva "'u sotte" almeno alle gambe, i colpi li pigliava lui in egual misura. Sicuramente alla fine eravamo tutti zozzi e doloranti per le pallate ricevute.
Ci si riunisce in gruppo, si stabilisce il quantitativo di bottiglie di Birra da giocare ogni giro, si procede alla conta - 'u tuekke - il primo della conta viene scartato, il secondo diventa "" 'u padrune "", il terzo "" nijende "", il quarto " 'u sotte ". " 'u padrune "" ha diritto di bere quanta birra vuole. Quindi in un giro, può capitare che se 'u padrune è in grado, beve tutta la birra in gioco e tutti gli altri rimangono all'asciutto "" all 'urme "". " 'u padrune "" può decidere di offrire da bere a qualcuno che gli è simpatico, in questo caso deve chiedere il permesso a " 'u sotte "" il quale può dare il consenso o meno. Se dà il consenso allora il prescelto beve, altrimenti " 'u padrune "" o beve lui oppure fa un'altra proposta. Se " 'u padrune " propone di offrire da bere a più di uno, " 'u sotte " potrebbe negare la bevuta ad uno ed acconsentire la bevuta agli altri, perché " 'u padrune " ha dimenticato di pronunciare la frase " se va a uno, va all'altro" - in questo caso se " 'u sotte " acconsente, tutti quelli indicati da " 'u padrune " sono autorizzati a bere, altrimenti si va avanti. In poche parole il padrone ha diritto solo di bere, altrimenti è sempre soggetto al sotto. A fine gioco, dopo molti giri e moltissime birre, le stesse vengono pagate da tutti in egual misura, per cui potrebbe capitare che se qualcuno " 'à sciute all'urme " paga senza aver bevuto. |
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