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giovedì 18 aprile 2024
 
 
AME SCIUTE CU Ne LAVAME LA FACCIE E N’AME CICATE N’UECCHIE PDF Stampa E-mail
L'ha scritt carlo "U Sinnache"   
giovedì 17 marzo 2011
 Stavo firmando la cinquantina di assegni salariali con cui stipendiare l’esiguo numero di collaboratori che si occupano delle faccende domestiche presso la mia poco pretenziosa dimora quando venni distratto dal fruscio delle calze di Margareth Pigeonsbite, statuaria addetta alla mia segreteria privata, che diede prova di estrema scioltezza delle giunture piegandosi a gambe tese ed unite per prelevare dal cassetto inferiore del raccoglitore posto di fronte alla mia scrivania l’incartamento che le avevo appena richiesto.

Ero intento ad osservare che le pieghe della minigonna plissettata che indossava non venissero gualcite dalla acrobatica postura quando la Montblanc che impugnavo mi scivolò dalle dita rotolando sul tavolo e macchiando d’inchiostro la mia immacolata camicia.

Ebbi una esclamazione di disappunto, Margareth si voltò verso di me e, resasi conto dell’incidente, cercò di limitare i danni premendo sulla macchia dei fazzoletti di carta che avevo sulla scrivania; purtroppo il rimedio fu peggiore del mare e la macchia si allargò ancora di più.

Il solerte Archibald, che era rimasto discretamente sulla soglia quando, accorso alla mia prima imprecazione, aveva notato la giovane praticante china sul mio petto scamiciato che pescava scottex su scottex, mi sentì allora commentare il maldestro tentativo della curvilinea segretaria con un laconico “AME SCIUTE CU NE LAVAME LA FACCIE E N’AME CICATE N’UECCHIE!” (Volevamo lavarci la faccia ma ci siamo cecati un occhio!).

Per l’ennesima volta lo stupore sostituì l’impassibilità sul volto del mio probo gentiluomo da camera, che subito si premurò di informarsi in merito agli eventuali danni subiti dai miei bulbi oculari.

Al fine di tranquillizzarlo ritenni opportuno chiarirgli il significato della mia espressione, ricorrendo all’incomparabile saggio “Ngule disse u caure e mocca disse a ranocchia - le aberrazioni sessuali del mondo animale” scritto con rara pregnanza dall’etologa slovacca Ludmilla Ceshorgije (Gottwaldov, 1855 - esemplificazione pratica del concetto di “gang bang” durante un master di specializzazione presso la C.A.Z.Z.O. - Cooperativa Amatrici Zoccole Zilate Organizzate, 1911).

Nella sua opera la Ceshorgije usa l’espressione in esame proprio per commentare il poco fortunato tentativo di cancellare dalla biancheria del fedifrago compromettenti tracce di fard, fondotinta, profumo e/o rossetto che svelerebbero alla legittima consorte la copula clandestina.

Nella sua valenza generale il motto commenta un danno che ci occorre come risultato di una attività da cui invece speravamo benefici e vale quindi ad evidenziare tanto la repentina picchiata del rendimento dei fondi comuni su cui avevamo investito i nostri risparmi sperando di poter integrare in futuro la nostra misera pensione quanto l’allagamento seguito al malaugurato scoppio del materasso ad acqua che avevamo acquistato per dare un po’ di brio alla nostra monotona vita coniugale.

Di diverso impiego è invece l’espressione “Agghie sciute p’avè grazia e agghie avute giustizia” (Cercavo una grazia e sono stato giustiziato); mentre nel primo caso la doglianza segue il fortuito quanto casuale epilogo negativo di una nostra azione, nel secondo caso l’attore dell’episodio che ci cruccia è un terzo, un più o meno consapevole giudice che, invece di concederci il favore da noi agognato, applica rigidamente le norme di legge.

Quest’ultimo motto commenterà quindi l’ulteriore aumento della parcella di un professionista a cui avevamo richiesto uno sconto, l’ingiunzione di pagamento delle rate di mutuo arretrate in risposta alla nostra richiesta di condono a forfait o la denuncia alla autorità giudiziaria seguita al risoluto rifiuto di un carrozziere a cui avevamo richiesto la riparazione della nostra autovettura simulando un sinistro mai avvenuto.

 
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