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C’era una volta, tanti anni fa…. PDF Stampa E-mail
L'ha scritt Piergiorgio   
mercoledì 08 settembre 2004

Molti pensano che le fiabe non siano altro che fantasie da raccontare ai bambini per farli addormentare; in realtà, dietro questi racconti che si tramandano da secoli, ci sono precetti morali, tabù e ricordi di miti e archetipi che hanno lo scopo di ammaestrare l'adulto, come ad esempio spiegato nel vecchio ma ancora interessante saggio "Il Ramo d'Oro" di J. Frazer.

Miti e archetipi che, per la loro natura universale, ricorrono nello spazio e nel tempo, ritrovandosi in racconti di società e culture assai distanti tra loro in termini di anni e di chilometri, tanto da poter definire alcune "regole" e "personaggi" ricorrenti nelle favole e nei racconti ad esse assimililabili, come ha fatto Propp nel suo "Morfologia della fiaba".

Avremo quindi l'eroina vergine e sfortunata destinata ad essere abbandonata o sacrificata, il principe giovane bello e valoroso, uno o più personaggi brutti o deformi ma con un cuor d'oro, un re anziano che va dall'ingenuo all'imbecille, spesso vedovo e risposato con una donna infida e crudele, esempio pratico del detto "tira più un pelo che una coppia di buoi".
Alla pletora di personaggi umani si aggiungono animali antropomorfizzati con caratteristiche quasi sempre fisse: il lupo cattivo, la volpe furba, il cane fedele, il gatto astuto, il cavallo coraggioso, e così via.

Da quanto sopra esposto è facile comprendere che le fiabe hanno diversi livelli di lettura: da quello apparente e letterale destinato ai bambini, a quello allegorico ed allusivo, più nascosto, in cui ciascuno dei personaggi rappresenta "altro" da sé stesso: una qualità umana, una caratteristica morale, un difetto spirituale. Così, la classica storia della principessa prigioniera di un drago e salvata dal principe coraggioso, assume ben altro significato morale se nella principessa vediamo l'anima umana, nel drago il peccato e nel principe la forza di spirito, il tutto in una lotta eterna che si svolge nell'intimo di ciascuno di noi.

Proseguendo con questa chiave di lettura, divertiamoci per un attimo a trasportare nei nostri giorni e nelle nostre terre una delle favole più conosciute, ovvero "la bella addormentata nel bosco" di Charles Perrault.

La trama è più o meno nota a tutti ma la riassumo per meglio poter svolgere il gioco che intendo fare. In breve sintesi narra che c'erano una volta un Re e una Regina che erano disperati di non aver figliuoli finchè, dopo anni di sacrifici e preghiere, la Regina rimase incinta, e partorì una bambina.
Fu fatto un battesimo di gala e si invitarono come madrine della Principessina tutte le fate che si poterono trovare nel paese.

Ma mentre si stava svolgendo la festa si vide entrare una vecchia fata, la quale non era stata invitata con le altre perché da cinquant'anni non usciva più dalla sua torre e tutti la credevano morta. La vecchia prese la cosa per uno sgarbo e brontolò fra i denti alcune parole di minaccia, annunciando che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sarebbe morta!

A questo punto, una delle fate madrine disse che, pur non potendo annullare la malìa della vecchia, ne avrebbe attutito gli effetti, così che la Principessa, invece di morire, si sarebbe addormentata in un profondo sonno, che sarebbe durato cento anni, al termine dei quali il figlio di un Re l'avrebbe svegliata.

Il Re, tentando di scansare la sciagura annunziatagli dalla vecchia, fece subito bandire un editto, col quale era proibito a tutti di filare col fuso e di tenere fusi per casa, pena la vita ma, passati quindici o sedici anni, accadde che la Principessina salì fino in cima a una torre dove c'era una vecchia, che se ne stava sola sola, filando la sua rocca senza nulla sapere della proibizione fatta dal Re di filare col fuso.

La Principessa, vivacissima e un tantino avventata com'era (e d'altra parte il decreto della fata voleva così) volle provarsi a filare ma non aveva ancora finito di prendere in mano il fuso, che si bucò la mano e cadde svenuta.

La buona vecchia, non sapendo che cosa si fare, si mette a gridare aiuto; il Re, che era accorso al rumore, si ricordò della predizione delle fate e sapendo bene che questa cosa doveva accadere, perché le fate l'avevano detto, fece mettere la Principessa nel più bell'appartamento del palazzo, sopra un letto tutto ricami d'oro e d'argento.

La buona fata, che le aveva salvata la vita, condannandola a dormire per cento anni, toccò colla sua bacchetta tutto ciò che era nel castello (meno il Re e la Regina) e, appena li ebbe toccati, si addormentarono tutti, per risvegliarsi soltanto quando si sarebbe risvegliata la loro padrona, onde trovarsi pronti a servirla in tutto e per tutto. Allora il Re e la Regina, quand'ebbero baciata la loro figliuola, senza che si svegliasse, uscirono dal castello, e fecero bandire che nessuno si fosse avvicinato a quei pressi. E la proibizione non era nemmeno necessaria, perché in meno d'un quarto d'ora crebbe, lì dintorno al parco, una quantità straordinaria di alberi, di arbusti, di sterpi e di pruneti, così intrecciati fra loro, che non c'era pericolo che uomo o animale potesse passarvi attraverso.

In capo a cent'anni, il figlio del Re che regnava allora, e che era di un'altra famiglia che non aveva che far nulla con quella della Principessa addormentata, andando a caccia in quei dintorni, domandò che cosa fossero le torri che si vedevano spuntare al di sopra di quella folta boscaglia. Ciascuno gli rispose, secondo quello che ne avevano sentito dire e il Principe non sapeva a chi dar retta, quando un vecchio contadino gli disse che in quel castello c'era una Principessa che dormirva da cento anni, e che sarebbe stata destata dal figlio di un Re, al quale era destinata in sposa.

A queste parole, il Principe s'infiammò e senza esitare un attimo, spinto dall'amore e dalla gloria, decise di mettersi subito alla prova e, appena si mosse verso il bosco, subito tutti gli alberi d'alto fusto e i pruneti e i roveti si tirarono da parte, da se stessi, per lasciarlo passare. Egli s'incamminò verso il castello ed entrò dentro fino a giungere in una camera tutta dorata dove c'era un letto su cui dormiva una Principessa che mostrava dai quindici ai sedici anni, e nel cui aspetto sfolgoreggiante c'era qualche cosa di luminoso e di divino.

Si accostò tremando e ammirando, e si pose in ginocchio accanto a lei. In quel punto, siccome la fine dell'incantesimo era arrivata, la Principessa si svegliò, e guardandolo con certi occhi, più teneri assai di quello che sarebbe lecito in un primo abboccamento, disse: "Siete voi, o mio Principe? Vi siete fatto molto aspettare!"
Il Principe, incantato da queste parole, e più ancora dal modo col quale erano dette, non sapeva come fare a esprimerle la sua grazia e la sua gratitudine. Giurò che l'amava più di se stesso ed i suoi discorsi sconnessi piacquero di più perché poca eloquenza vuol dire grande amore!

Esso era più imbrogliato di lei, né c'è da farsene meraviglia, a motivo che la Principessa aveva avuto tutto il tempo per poter pensare alle cose che avrebbe avuto da dirgli: perché, a quanto pare (la storia peraltro non ne fa parola), durante un sonno così lungo, la sua buona fata le avea regalato dei piacevolissimi sogni. Fatto sta, che erano già quattro ore che parlavano fra loro due, fitto fitto, e non si erano ancora detta la metà delle cose che avevano da dirsi. Intanto tutte le persone del palazzo si erano svegliate colla Principessa: e ciascuno aveva ripreso le sue faccende: e siccome non tutti erano innamorati, non si reggevano in piedi dalla fame. La dama d'onore, che sentiva sfinirsi come gli altri, perdé la pazienza e disse ad alta voce alla Principessa che la zuppa era in tavola.

Il Principe diede mano alla Principessa, passarono nel gran salone degli specchi e lì cenarono, serviti a tavola dagli ufficiali della Principessa e dopo cena, senza metter tempo in mezzo, il grande elemosiniere li maritò nella cappella di corte, e la dama d'onore tirò le cortine del parato. Dormirono poco. La Principessa non ne aveva un gran bisogno, e il Principe, appena fece giorno, la lasciò per ritornare in città, dove fece subito bandire pubblicamente il suo matrimonio e andò con grande scialo a prendere la Regina sua moglie al castello.

Riassunta la trama originale (chiedendo perdono a chi la conosce per i necessari, ma non per questo meno antipatici, tagli) ecco il gioco: immaginiamo che la Principessa sia Taranto, una bellezza che dorme da più di cento anni, una bellezza intorno a cui tutto sia fermo in attesa di un Principe che le ridia la vita.

Ecco spiegato perché tanti importanti progetti e infrastrutture giacciono fermi e abbandonati o hanno avuto tempi di gestazione lunghissimi: si pensi, per fare un elenco indicativo e non esaustivo, ai decenni impiegati per l'adeguamento dell'aeroporto di Grottaglie, all'ampliamento delle strade statali 106 "Jonica" prima e della 7 "Appia" verso Brindisi poi, ai tanti restauri in corso nella Città Vecchia (a partire da Palazzo D'Aquino), alla ristrutturazione del Museo Archeologico Nazionale (il più grande del meridione, dopo Napoli), al raddoppio della linea ferroviaria da e verso Bari, alla realizzazione del "PalaMazzola" e della strada "Bradano - Salentina" che correndo parallela alla litoranea dovrebbe collegare Taranto ad Avetrana, tutte parti del mondo della Principessa, che dormono, o hanno dormito, sonni profondi insieme a Lei.

Naturalmente Taranto è prima inter pares, non è l'unica e la sola città afflitta da questa malefica sonnolenza, però qui di Taranto parliamo, ed il resto lasciamolo da parte. Del resto, volendo tralasciare per un attimo i bolsi e ritriti discorsi che risuonano polverosi ad ogni campagna elettorale, in cui il verbo "fare" viene sempre e rigorosamente coniugato al futuro, non possiamo non riconoscere nel modo civettuolo ed affascinante con cui la Principessa accoglie il Principe, la stessa arte impiegata dalle fanciulle ioniche per sedurre ed accalappiare coi loro invisibili quanto robusti lacci i destinatari dei loro spasimi di passione ed amore così come non possiamo non vedere rispecchiato nell'entusiasmo del Principe che affronta una fitta e perigliosa foresta, lo spirito virile del tarantino che tutto farebbe pur di conquistare il cuore (e non solo) di una fanciulla.

Lascio ai lettori il compito di dare una identità alla vecchia cattiva che ha condannato Taranto al suo sonno secolare, io da parte mia non posso che sperare che il Principe si sbrighi ad arrivare, prima che sia troppo tardi e le piaghe da decubito deturpino irrimediabilmente la nobile dormiente.
Ultimo aggiornamento ( mercoledì 08 settembre 2004 )
 
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