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Frùscie de scòpa nòva PDF Stampa E-mail
mercoledì 28 luglio 2004

Ero nel foyer della sala d'armi ospitata al secondo piano dell'ala sud-sud-est della mia poco pretenziosa dimora in compagnia del pregiatissimo avvocato Wolfango Amedeo Pandetta, con cui dividevo il piacere di un "Cohiba Robustos" e mi confrontavo su una capziosa interpretazione del codice civile e penale.

Tra le azzurrine volate di fumo dall'inconfondibile aroma, mi pregiavo infatti di chiedere all'augusto principe del foro soddisfazione ad un mio dubbio: pochi giorni prima stavo infatti percorrendo una via cittadina alla guida della mia Dodge "Viper" quando la mia attenzione fu attirata da una procace fanciulla che passeggiava ancheggiando sul marciapiede, con le pudenda a malapena coperte da una esile canottiera e da una striminzita minigonna.

La sua serica epidermide, le sue gambe tornite, i suoi seni turgidi, tutti assai poco lasciati alla immaginazione e molto offerti allo sguardo mi riportarono in mente i passi del "Cantico dei Cantici" e così, ispirato da cotanta sensuale visione, socchiusi gli occhi recitando con voce stentorea …Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo. Come la torre di Davide il tuo collo, costruita a guisa di fortezza. Mille scudi vi sono appesi, tutte armature di prodi. I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella, che pascolano fra i gigli… e non mi avvidi che l'autovettura che mi precedeva si era arrestata al semaforo, tamponandola con violenza e lasciando di colpo l'eccitante mondo dei sogni per precipitare nella aspra realtà.

Poiché la causa dell'incidente era senza ombra di dubbi da addebitarsi alla provocante emula di Lady Godiva, che nonostante ciò non si era neppure peritata di accorrere in mio soccorso per rianimarmi con la respirazione bocca a bocca o per confortarmi con un abbraccio, chiedevo all'esimio avvocato se nel comportamento della discinta pulzella si potessero ravvisare non solo gli estremi per un delitto colposo, ma addirittura quelli per una accusa di "dolo eventuale", poiché una "Maya desnuda" che se ne va peripateticamente in giro per le vie cittadine non può non essere consapevole degli effetti che il suo atteggiamento può provocare.

L'avvocato Pandetta aveva iniziato ad illustrarmi il suo punto di vista farcito di "de cuius", "culpa in eligendo e in vigilando", "dura lex sed lex" ed altre latinerie assortite quando ci raggiunse l'opimo Archibald, recando seco il nuovo valletto incaricato di pareggiare alla stessa lunghezza tutte le candele dei lampadari nella sala d'armi, di cui l'anziano maggiordomo, pur nella sua proverbiale descrizione, tessè le lodi sottolineando il preciso colpo d'occhio nella valutazione delle lunghezze dei ceri e la precisione nel taglio degli stessi.

Profondamente assorto nel cercare di dare senso compiuto al "latinorum" del giureconsulto mio ospite non prestai la giusta attenzione a quanto mi relazionava l'anziano butler e liquidai la cosa con un frettoloso "Si vabbè, speràmo ca' no' ède fruscio de scopa nova!" (Si va bene, speriamo non sia solo fruscio di scopa nuova) ottenendo per tutta risposta la precisazione che il giovane dipendente non era addetto a compiti di ramazza e pulizia pavimenti.

Ancora una volta al probo Archie sfuggiva il significato del commento che avevo espresso e così mi risolsi a lasciare il fumoso foyer ed a recarlo meco, insieme al panegirico avvocato, in biblioteca, dove senza por tempo in mezzo mi avvalsi della consultazione de "Il buongiorno si vede dal lutrino – Come predirre il futuro preparando la frittura misto mare", monumentale opera enciclopedica in trentotto volumi acquistabili anche a rate con versamento di un modesto acconto all'atto della prenotazione ai nostri incaricati che vi illustreranno comodamente l'opera presso il vostro domicilio previo appuntamento telefonico, redatta con incomparabile precisione dall'ermeneuta francese Wladimiro Momevè Sottallosse (Orleans, 1752 – Ustioni di 3° grado riportate durante una gara di "pirdo infuocato" durante l'annuale raduno dell'Accademia Piroclastica di Francia, 1810) che descrive, in omaggio alla razionalità propagandata e stimolata nel secolo dei lumi dai cugini d'oltralpe, come prevedere gli effetti futuri di cause presenti.

In omaggio al forte legame che univa Taranto alla cultura francese, il Momevè Sottallosse cita per l'appunto il "fruscio di scopa nuova" come simbolo di una situazione oltremodo confortevole ma che avrà necessariamente una durata limitata nel tempo; al pari del fruscìo emesso dalle setole di una nuova ramazza che si spegne via via che queste si usurano, al pari dello scricchiolio di un paio di scarpe nuove, tutto a questo mondo è destinato a terminare, afferma l'intellettuale francese.

Pur fortemente radicato nella cultura illuminista e razionale del suo tempo, il Momevè Sottallosse richiama, sia pure senza mai citarlo esplicitamente, il pessimismo di Qoelet nell'omonimo libro biblico (Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno per cui fatica sotto il sole?), prestandosi peraltro a diversi schemi interpretativi.

Se da una parte alcuni esegeti più orientati al pessimismo stoico interpretano tale posizione come un invito a non illudersi nel crogiolarsi dei piaceri, poiché questi sono comunque destinati a finire, dall'altra interpreti ispirati all'eudemonismo epicureo ritengono che il concetto espresso sia una versione razionale del "carpe diem", un incoraggiamento a godere il bello e il buono finchè dura.

Naturalmente ogni posizione è legittima e ciascuno è libero di adottare quella che più gli si confà, poiché il Momevè Sottallosse ha buona cura nell'evitare di dettagliare ulteriormente il suo pensiero, essendo assolutamente rispettoso dell'altrui libero arbitrio e non volendolo in nessun modo influenzare con giudizi ma solo informarlo con i fatti.

Un intero capitolo è dedicato dal Momevè Sottallosse all'analisi della espressione nell'ambito dei rapporti coniugali, il "jè frùscie de scopa nova!" è usualmente espresso da invidiose comari o da stagionate zitelle a commento delle esagerate attenzioni che un coniuge riserva all'altro nei primi tempi del matrimonio, a sottolineare come il rito della colazione a letto o la frase "Amore, cosa desideri mangiare a pranzo?" siano "status" identificativi di una idealità non destinata a durare in eterno, come peraltro amaramente constatato da un altro detto, citato proprio dal Momevè Sottallosse: "U prim'anno cor'a core; u second'anne cul'a cule; u terz'anne càuce n'gule" (Il primo anno cuore a cuore; il secondo anno sedere contro sedere; il terzo anno calci sul sedere) in cui viene impietosamente sottolineato come da una idilliaca romanticheria nel primo anno, in cui i due coniugi giacciono nel talamo nuziale uno di fronte all'altro abbracciati, occhi negli occhi e "cuore a cuore", si passi poi ad un certo distacco sentimentale e, di conseguenza fisico in cui marito e moglie giacciono ogniuno girato da un lato, schiena contro schiena (cul'a cule) sino a giungere, in meno della metà del tempo previsto per la famosa crisi del settimo anno, a violenti fenomeni di insofferenza esemplificati da atti di violenza fisica (càuce n'gule).

Il Momevè Sottallosse conclude la sua trattazione spiegando che il detto è per estensione impiegato a mitigare le proprie ed altrui speranze per una situazione che presenta aspetti troppo piacevoli per essere mantenuti nel tempo, quali diminuzioni di tasse e imposte da parte del governo appena insediato, lo spazzamento e la riqualificazione di zone periferiche della citta dopo l'elezione del sindaco, il settimanale lavaggio della autovettura acquistata di recente, le quotidiane copule degli sposi durante il primo mese di matrimonio.

Ultimo aggiornamento ( giovedì 29 luglio 2004 )
 
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