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mercoledì 24 aprile 2024
 
 
Fa' tu e fa' chiovere PDF Stampa E-mail
L'ha scritt Piergiorgio   
giovedì 29 luglio 2004

Ero sul "roof-garden" ubicato sulla copertura del quarto piano dell'ala sud-sud-ovest del mio modesto abituro, steso su una "chaise-longue" ad abbronzarmi in "nude-look" sotto il sole di metà mattina, quando il biancocrinito Archibald si appressò chiedendomi cosa far preparare in cucina per il pranzo.

Completamente immerso nella armonia della Natura, riscaldato dal Dio Sole e rinfrescato dalla Dea Raffo, non intendevo abbandonare tale idilliaca situazione per occuparmi di simili quisquilie; congedai così l'azzimmato Archie con un gesto della mano ed un frettosoloso: "Ma ce ne saccie ije, fa' tu e fa' chiovere! (Ma cosa vuoi che ne sappia io, fai tu e fai piovere!) ma mal me ne incolse, perché ancora una volta avevo sopravvalutato le capacità di comprensione del dialetto ionico da parte dell'anziano famiglio. Archie prese alla lettera il mio invito e lo interpretò come la necessità da parte mia di una rinfrescante doccia a pioggia a causa delle torride temperature ambientali; senza por tempo in mezzo e con una agilità insospettabile in base alla sua età ed al suo deambulare solitamente cauto e pacato, Archibald afferrò la canna flessibile usata per irrigare le piante del giardino e mi inzuppò dalla testa ai piedi.

L'imprevisto gavettone mi riportò immantinentemente coi piedi per terra e fece svanire il piacere di crogiolarmi al sole così, non foss'altro che per evitare simili misunderstanding in futuro, copersi le pudenda con un telo da bagno cinto alla vita e chiesi ad Archibald di seguirmi in biblioteca.

Giunto che fui nel "sancta sanctorum" di ogni bibliofilo, recuperai prontamente gli atti del convegno "Tempo percepito e Tempo reale - la metereopatia alla luce della teoria della relatività ristretta" ed in particolare mi soffermai sulla relazione del fisico atomico di origine somalo-basca Hailè Addòulasse Utrerrote (Bilbao, 1911 - Calpestato dalla folla durante l'ingresso al cinema "Borbone" in occasione della prima del film "Rosanna tutta panna, le incoffessabili voglie gastronomiche di una sindaca golosa", 1982) che si occupò in particolare di esaminare come il passare del tempo viene percepito in maniera variabile, conducendo una serie di esperimenti "in corpore vili" su pensionati in fila alle poste, impiegati in attesa che si carichi sul computer il sistema operativo, nuclei familiari alla ricerca di un carrello libero presso ipermercati cittadini in orario di punta nel primo sabato dopo il ventisette del mese, soggetti dalla vescica debole in trepidante ritenzione di fronte alla porta chiusa di un bagno occupato, et similia.

La nutrita serie di dati raccolti e la loro successiva analisi fu poi presentata dal Addòulasse Utrerrote nel convegno citato, in una relazione intitolata "Natale l'ha inventato un milanese, Pasqua un tarantino" durante la quale emerse in maniera incontrovertibile che l'origine del Natale è da ascriversi ad un popolo preciso e pignolo (infatti da più di duemila anni i festeggiamenti iniziano rigorosamente alla mezzanotte del 24 dicembre) mentre Pasqua nasce in una società approssimativa e abborracciata, tanto che la data della celebrazione varia da un anno all'altro di settimane se non addirittura di mesi.

Nella parte della sua relazione dedicata invece al tempo inteso come condizione metereologica il Addòulasse Utrerrote cita il modo di dire da me impiegato facendone risalire l'origine ad un figlio adottivo di Taranto, ovvero il capo pellerossa Cefalo a un Occhio della tribù dei Cheyè (Altopiano della Mesa Grande, 1813 - Impalato sul totem del villaggio per sospetta omosessualità a causa della sua predilezione per il "fico d'India", 1848) che introdusse a Taranto la pesca subacquea con arco e frecce ricavate dalle stecche metalliche degli ombrelloni e che con i suoi colori di combattimento sugli zigomi mostrò alle zilate ioniche che passeggiavano a via D'Aquino nuove possibilità del trucco cosmetico per far risaltare la loro muliebre bellezza. Lo studioso afroeuropeo racconta che in una estate particolarmente torrida la tribù dei Cheyè reclamava a gran voce la pioggia che, nonostante tutte le invocazioni ed i riti compiuti da Cefalo a un Occhio, non cadeva da mesi. Il grande capo, stizzito dalla evidente inefficacia del suo operato che arrecava notevole nocumento alla sua credibilità, si rivolse bruscamente allo sciamano Sasizza d'Acciaio, invitandolo imperiosamente con il motto in esame a fare quanto in suo potere per ottenere la tanto attesa apertura delle cataratte del cielo.

Dagli esempi sopra riportati si evince come il detto si rifaccia ad un pessimismo cosmico di matrice leopardiana, in cui l'Uomo soccombe impotente di fronte ad una Natura più indifferente che matrigna. Il tarantino, a cui molto è stato promesso e poco è stato dato (e quel poco spesso e volentieri lo ha ricevuto per via infragluteale senza il sollievo di sostanze emollienti o lubrificanti) ben sa che quello che la Vita concede costa sangue sudore e lacrime; con questo detto egli mostra così la sua scarsa propensione a credere alle promesse di facili entusiasmi e di risultati immediati, irridendo nel contempo coloro che, in buona o mala fede, asseriscano il contrario.

Su questa condizione umana universale si innesta, oltremodo originale, la vena della "molle Tarentum" che non perde occasione per delegare ad altri il compimento dei propri doveri, ammantandoli a volte a mo' di sfida.

Al giorno d'oggi l'espressione è impiegata in svariati contesti: da colui che, viste esaurite tutte le possibilità a sua disposizione per ottenere quanto desiderato, chieda ad altro di impegnarsi con tutti i mezzi per il compimento dell'opera, divenuta tanto necessaria quanto la pioggia per i contadini ("Giuà, vid' ca s'ha squasciate l'aspirapolvere; ije agghie prùate ad aggiustarle cu nu picca de sparatrappe ma non'g'agghije riuscite. Mo' fa' tu e fa' chiovere!" - "Giovanni, l'aspirapolvere si è rotto; ho provato a ripararlo con dei cerotti ma non ho ottenuto alcun risultato. Ti prego di fare il possibile per riportarlo in funzione!") come da colui che invece usi il motto con fare ironico, rivolto a sussiegosi saccenti, invitandoli "tout-court" a dare prova pratica delle loro supposte capacità compiendo un'opera praticamente impossibile come quella di far piovere a comando ("Catà, stè vide quidde pezz'de piccione? Mo' agghija scè addà, me l'agghjia purtà a ballà e po' me l'agghjia a rashkà fine a dumane mattina!" - "Se, se, Antò... fa' tu e fa' chiovere!" - "Cataldo, vedi quella procace ragazza? Ora vado da lei, la porto a ballare e poscia avrò con lei un congresso carnale che durerà sino a domani mattina!" - "Non ho alcun dubbio al riguardo, caro Antonio, procedi senza indugio!") o come colui che, indifferente o impossibilitato ad impegnarsi in prima persona, deleghi ad altro l'azione, concedendogli ampia discrezionalità di scelta ("Artù, ce' pizz' t'agghjia ordinà?" - "Bho, fa' tu e fa' chiovere, basta ca da bere pigghjie a Raffo!" - "Arturo, quale pizza vuoi che ti ordini?" - "Per me è indifferente, fai come meglio credi, l'importante è che da bere tu approvigioni la Raffo!").

Ultimo aggiornamento ( lunedì 02 agosto 2004 )
 
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