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Ce mme ne futt' PDF Stampa E-mail
lunedì 12 settembre 2005
Un artista, si dice, racconta il proprio tempo.
A volte lo fa con ironia e a volte con dolore, a volte lo rimpiange come passato ed altre lo prevede come futuro.
In ogni caso, parlando di tempo, racconta uno sviluppo, un “work in progress”, un qualcosa in movimento anche se, a volte, apparentemente statico.
E nella impossibilità di scindere l'osservatore dall'osservato, il raccontato ed il raccontante si muovono, evolvono, cambiano influenzandosi l'un l'altro.
 
Alessandro Guido è un artista, e su questo non si discute; chi volesse confutare questo dato di fatto dovrebbe preparare un'arringa in grado di confrontarsi con i suoi disegni, le sue musiche, le sue fotografie; impresa ardua e destinata a sicuro fallimento.
E da artista Alessandro si muove, cambia e si evolve, tracciando le tappe del suo percorso con le sue opere, raccolte sul suo sito internet www.alessandroguido.it
La sua ultima canzone, “Ce mme ne futt'”, è il segno di un deciso cambio di rotta. Intanto il titolo è assolutamente poco politically correct, alla faccia di un certo ipocrita perbenismo che propaganda il volemose bbene davanti e le stilettate alle spalle, poi il testo, che per chi segue Alessandro è una vera sorpresa.
 
Ebbene si, fino ad oggi Alessandro ha descritto quasi sempre situazioni e personaggi che se fossimo americanofili descriveremmo come “looser alla Springsteen o alla Steinbeck, che se invece volessimo buttarci sui classici  diremmo “umiliati e offesi” à la mode di Dostoevskji o “cornuti e mazziati” in omaggio ad un certo pessimismo proprio di Verga o Pirandello, ma che invece, nostrani e alla buona, definiamo “poveri cristi”.
 
Diversi nelle situazioni, uniti dall'essere bersaglio di un Fato cinico o di una Natura beffarda (ancora i classici, ecco Leopardi!) che inesorabile li colpisce, sia pure ciascuno in modi e con strumenti diversi. C'è il cittadino onesto tartassato dalla amministrazione pubblica in “Stato latro” (toh, “Il Processo” di Kafka), c'è il lavoratore che scopre con rammarico che gli hanno rubato l'automobile in “M'hanno futtuto la machena” (hey, ma questo è “Ladri di biciclette” di De Sica!), c'è lo sfortunato automobilista in coda perenne sulla “Statale 106” (e questo non è “L'ingorgo” di Comencini?) e il nipote ingozzato di cibo e raccomandazioni in “A pranzo da nonna” (cavolo, un mix tra “Gargantua e Pantagruel” e “L'ospite d'inverno), tutti insieme rappresentati e condensati al meglio nel bistrattato mestre di “Nu pensier” o ancora più nel rassegnato “Ca ci quanna la vita e' amara…armen' cantam…” che fa da sottotitolo alla pagina web che presenta le sue “Canzoni jonico salentine”.
 
Ma dall' e dall' si spezz' pur' o metall e prima o poi la riscossa  arriva per tutti. Il punto di svolta è forse “U Cuzzar'”, dove non c'è ribellione ma neppure la supina accettazione dello status quo; il cozzaro, il paria di Taranto non ci sta e dice la sua, rivendicando una coerenza ed una onestà (intellettuale, se non fiscale....) che altri più “signori” di lui dimostrano di non avere.
 
E' lo spillo che fa scoppiare la mongolfiera, il sassolino che provoca la valanga, il granello di sabbia che inceppa il mega-ingranaggio perfettamente oliato, è il piccolo panarjidde Giovanni Battista Perasso che lancia una pietra nel 1746 e dà inizio alla rivolta di Genova contro gli austriaci, è la fine dell'inizio o l'inizio della fine, fate voi.
 
Infatti, puntuale, arriva una presa di coscienza del tizio che forse, in passato, cercava di compiacere in tutti i modi l'amico presuntuoso e arrogante in “Eppuro ca ete?” e che stavolta, nostrano Rett Butler, più che infischiarsene, paesanamnte esclama “Ce mme ne futt'” a tutte le vanagloriose sparate dell'amico che, dopo travolgenti successi sentimentali a Niùiorc, esaltanti trionfi pedatori con la Nazionale di calcio e mai comprovate competenze enologiche, chiede candidamente di imparare a suonare il kazoo, uno degli strumenti musicali più semplici da adoperare.
 
La canzone si conclude come Alessandro ci ha abituato (o forse dovremmo dire: viziato), ovvero con un ironico tocco di classe, una breve accordo di “trombetta” che pone fine alla questione e ci riporta alla mente uno slogan mai passato di moda, nonostante gli anni: “Una risata vi seppellirà!”.
Ultimo aggiornamento ( venerdì 23 settembre 2005 )
 
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