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NATI A CASA PDF Stampa E-mail
L'ha scritt Carmela "Jatta acrest'"   
lunedì 04 giugno 2007
 Oggi, per venire al mondo, il bambino, in ospedale, trova l'aiuto dell'ostetrica, del ginecologo, dell'infermiera oltre che di macchine moderne e sofisticate che lo accolgono appena nato, che lo cullano fino a raggiungere il peso giusto. Questi ed altri accorgimenti hanno permesso di debellare, quasi del tutto, la mortalità infantile.

Tutto è cambiato. Anche il modo di atteggiarsi dei neonati.
Una volta si diceva che i bambini aprivano gli occhi un mese dopo la nascita. Oggi nascono, come si suol dire "cu l'uecchie apiert'".
Una volta invece i bambini nascevano in casa.
La maternità era un evento molto privato: le donne in genere tenevano nascosta la gravidanza per i primi mesi e rendevano partecipi dell'evento solo i familiari più stretti.
La donna rimasta incinta non ricorreva al medico nè alla levatrice perché andavano pagati... e le condizioni economiche non lo consentivano...tiravano avanti con il solo aiuto della mamma e delle comari del vicinato, che erano importanti e rivestivano un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni all'interno del quartiere.
Le comari, sapevano tutto di tutti. Non esistevano problemi, anche i più personali, che sfuggissero all'intuito delle donne del vicinato.
Non esistendo alcun metodo scientifico per conoscere il sesso del bambino, si ricorreva a quelli della nonna. Il più comune deduceva il sesso del nascituro dalla forma della pancia della mamma: la pancia larga sui fianchi indicava che sarebbe nata una femmina, a punta un maschio.
Durante la gravidanza la donna, se desiderava in modo intenso qualcosa da mangiare, evitava di toccarsi sul corpo perché si credeva che se lo avesse fatto il bambino sarebbe nato "cu a macchie de 'u spiùle"  - ossia con la voglia dei cibi desiderati sulla pelle.
A tal proposito  Aldo “Diecipalazzine” ci ricorda alcuni detti popolari:
Circa il sesso del nascituro si diceva:
"Vendra appundute, maskele e' vute, vendra tonne, 'a femmene je' pronde!
...se proprio ci si doveva toccare, era consigliabile farlo in posti nascosti...
"Ci t'avene 'u spiule, tuecchete 'ngule!"
... e qualcuna ne approfittava per trarne benefici…
"Quanne 'u spiule te ste' avene, fa credere a tutte ca si' prene!"

Per il bene della mamma e del bambino era necessario, che il bambino s'era pigghià tutte le lune -  ossia che il periodo della gravidanza durasse nove cicli lunari.
Per scaramanzia la mamma  preparava il corredino, solo al termine della gravidanza: 'a cammisedd', 'u sciupparjidd', 'a varvaredde, 'a scuffie, le pannolin' e le fasse....
...perchè all'epoca i bambini venivano "'nfassat'" - ossia avvolti in un susseguirsi di fasciature, che coprivano tutto. Quando erano vestiti di tutto punto, sembravano delle piccole mummie viventi che muovevano soltanto la testina, perché anche le manine, per un po' di giorni, rimanevano strette nelle fasce.
Il bambino rimaneva chiuso in quelle fasce,  che in teoria avrebbero dovuto rinforzarne le ossa e impedire che gli venissero le gambe storte, per gran parte della giornata, fino a quando la mamma non lo sfasciava per le pulizie e per cambiargli il pannolino. I pannolini di una volta erano panni triangolari tenuti fermi "cu le spinghele francese" - spille da balia.
Quando la mamma sfasciava il bambino, questi, sentendosi libero, sgambettava a più non posso, dimostrando, con ciò, di gradire enormemente quella breve libertà.
Una volta, quando nasceva un bambino lo sentiva tutto il vicinato che si mobilitava per dare una mano. Un modo di vivere, che oggi potrebbe sembrare sconveniente. Ma, in quelle strade, tra quella gente, oltre i soliti pettegolezzi, le critiche e le invidie, c'era più umanità e più solidarietà.
Il parto avveniva in casa, accanto al focolare: la donna era assistita dalla madre, dalla suocera e  dalle comari e vicine di casa che preparavano tutto: acqua calda abbondante, fassature (pannolini) e asciugamani.
In un tale ambiente si inserisce una figura importante... la mammana - ossia la levatrice - chiamata quando una donna stava per partorire.
In qualunque ora del giorno, e soprattutto di notte, la mammana accorreva, accompagnata dai familiari all'abitazione della partoriente.
Diploma o non diploma la mammana a quei tempi era una delle figure professionali più utili a tutta la società e, pur in presenza di un ospedale, si ricorreva a lei  per il parto.
Il suo ruolo era considerevole e quando passave per le strade era riverita da tutti.
Era una professione tramandata da madre in figlia.
La levatrice, aveva dei precisi doveri: assistere la partoriente dall'inizio alla fine del parto; lavare e vestire il bambino per i primi otto giorni, presentarlo al battesimo, lavare la prima camicia della puerpera.
Non sarebbe stato compreso da nessuno battezzare il neonato senza la levatrice che l'aveva aiutato a venire al mondo, si diceva, non avrebbe fatto gli auguri di buona fortuna al neonato.
Il rito era celebrato generalmente all'ottavo giorno dalla nascita, pena i rimproveri degli anziani preoccupati del fatto che il bambino potesse morire senza questo sacramento.
Il neonato era portato in chiesa da una ragazzina, scelta tra i parenti o nel vicinato. Partecipavano al battesimo, in genere, il padre e i padrini, scelti con cura perché si credeva che il figlioccio ne ereditasse le qualità morali. Il padre del bambino si recava appositamente a casa dei prescelti per chiedere loro "'u piacere d'u fà cristian" - la carità di farlo cristiano.
Raramente tale richiesta era disattesa. Chi lo faceva era malvisto dalla comunità perché rifiutava di fare, appunto, un'opera di carità. Un legame speciale " 'u sangiuanne", spesso più forte di quello con i parenti, si instaurava tra i genitori e i padrini che, da quel momento, si davano reciprocamente del voi e si chiamavano "cumbà" e "cummà".
I padrini regalavano ai figliocci la catenina d'oro, oppure alle femminucce, gli orecchini piccoli e appuntiti con cui si faceva il buco alle orecchie, e ai maschietti, l'anello d'oro.
Era compito esclusivo della madrina tagliare, la prima volta, le unghie al neonato, perché non diventasse ladro.
Anche la nonna paterna faceva un regalino al nipotino...la prima volta che andava a vederlo era lei a fasciarlo e in mezzo alle fasce metteva delle monetine.
Al battesimo la mamma non partecipava, perché non poteva uscire di casa prima di quaranta giorni. Era una precauzione presa per tutelarne la salute.
Dopo cinque giorni dal parto si alzava per la prima volta e, aiutata dalla levatrice, faceva per tre volte il giro del letto, poi si coricava nuovamente.
La prima uscita la faceva per andare in chiesa, quaranta giorni dopo il parto.
Questo rito ha origine nella festa della Candelora, che ripropone la cerimonia della presentazione di Gesù al Tempio e della purificazione della Madonna avvenuta dopo quaranta giorni dal parto.
La donna era considerata impura finché non si recava in chiesa per la purificazione insieme al bambino. La accompagnava la levatrice, la madre o la comare. Il prete, avvertito della sua presenza, andava ad accoglierla e la conduceva fino all'altare. La mamma accendeva una candela in segno di offerta e ringraziamento e poi, inginocchiata nel primo banco, riceveva la benedizione dal sacerdote che metteva la stola sopra la testa del bambino. Infine la donna faceva un offerta, detta "de 'a cannel'" - per la candela - e da questo momento riprendeva la vita di tutti i giorni.
Ultimo aggiornamento ( domenica 10 giugno 2007 )
 
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