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Herman Melville, "Moby Dick" PDF Stampa E-mail
L'ha scritt carlo "usinnache"   
mercoledì 27 febbraio 2008
 E' questo uno dei romanzi più noti di tutti tempi, che gode di un successo dovuto al vigore espressivo che assurge alla potenza di un richiamo biblico con un linguaggio che, nella sua asciutta incisività, rispecchia le vicende autenticamente vissute dall'autore e, per certi aspetti, da ognuno di noi. Questo romanzo narra la storia del Capitano Auànt e della sua caccia alla Balena Bianca, colosso marino che, nel suo essere pesce assurge a simbolo metafisico della sessualità femminile, proverbialmente poco frequentata dai marinai in navigazione.
A bordo del "Perchia", la nave condannata dal Fato, uomini di razze, cultre e fedi calcistiche diverse danno la caccia al pesce di mare sognando di catturare quello di terra, in una disperata epopea che li contrappone, novelli Tantalo, ad un destino spietato che li vuole tutti onanisti. 
La storia della caccia alla Balena diviene così chiara allegoria del destino dell'uomo, della sua perenne ricerca del femmineo pertugio che lo trascina in imprese titaniche, condizione tanto bene riassunta dal noto detto: "Tira più una squama di pesce che un fuoribordo da 75 HP".

Incipit: Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa esattamente quanti - avendo pochi denari in tasca e nessuna Raffo nel frigo, pensai di andarmene un poco per mare, a vedere la parte di mondo oltre le Cheradi.

Ultimo paragrafo: Il secondo giorno una vela si avvicinò, si avvicinò sempre di più, e alla fine mi raccolse. Era la "Radeche vecchie", una goletta che viaggiava fuori rotta e che, nel ritornare sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò soltanto un altro orfano, abbandonato tra i flutti come una bottiglia Raffo ormai vuota.

Ultimo aggiornamento ( venerdì 21 marzo 2008 )
 
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